Inediti

Carmela e Giovanni: una storia d’amore made in Brooklyn

di MICHELA VALMORI

Carmela era lì, seduta su uno sgabello del suo appartamento al quinto piano di un edificio di Brooklyn, mentre lavorava ai ferri una coperta per la sua sorellina ed aspettava che il padre facesse ritorno dal negozio. Poteva davvero essere chiamato “appartamento” quel posto sudicio? Era angusto e insopportabilmente caldo durante la calura di luglio, una stanza più rovente dell’altra in quella lunga fila di camere che aveva l’aspetto di un vagone ferroviario dismesso.

Viveva all’ultimo piano con i suoi sei fratelli e i suoi genitori, mentre le zie, gli zii e i cugini occupavano il piano di sotto. Il palazzo era intriso di una lingua nuova e a tratti incomprensibile, dove il dialetto siciliano e un inglese fortemente accentato, parlato da paesani, si mischiavano dando vita a cacofonie del tutto nuove. Per lei, tutto ciò non aveva senso – “Perché attraversare l’oceano per poi ritrovarsi a vivere con gli stessi vicini di sempre?” – si chiedeva. Erano giunti a fatica nella terra promessa dove tutto sembrava possibile, eppure sembravano ancora bloccati nei confini, nelle usanze e nella lingua della vecchia Sicilia. L’unica differenza che vedeva rispetto a prima, era che tutti i paesani erano trattati come animali in un paese ostile che pareva non volerli.

Ecco perché Giovanni la incuriosiva. Non era come tutti i paesani che conosceva. Aveva la voce dolce, era gentile e, soprattutto, non era siciliano. Sapeva che proveniva dall’Italia – da qualche cittadina nei pressi di Napoli – ma non era la Sicilia e per lo più, non viveva in questo isolato. Ecco perché spesso si trovava a sognare ad occhi aperti la città a lei straniera che aveva dato i natali ad un tale signore. Giovanni abitava qualche strada più in là, nel quartiere Napoletano, ma tutti i giorni passava davanti a casa di Giovanna, solo per intravederla, seduta sui gradini. Aveva un aspetto incantevole a metà, tra il vecchio e nuovo paese, e ciò le faceva ben sperare che un giorno, anche lei, si sarebbe liberata dal purgatorio siciliano entro il quale era ancora costretta. Giovanni aveva combattuto per l’esercito americano in Nord Africa, ma lavorava con cumpari italiani nel negozio di un barbiere; era questo forse che gli aveva donato quell’aspetto moderno di americano-italiano di cui i suoi paesani siciliani non riuscivano certamente ad impadronirsi.

Doveva averlo osservato un po’ troppo a lungo, perché prima che lei se ne accorgesse lui era in piedi sul gradino più basso e le sorrideva.

“Ciao Carmela” annuì dolcemente.

Lei preferiva essere chiamata Camille, in un pigro tentativo di americanizzarsi, ma lui era insistente e la chiamava sempre per nome.

“Giovanni, sai che lo odio – chiamami Camille”, sforzandosi di nascondere le note della sua Sicilia nella sua voce, “Ti piacerebbe se iniziassi a chiamarti Johnny?”

“Chiamami come vuoi Carmela, basta che mi chiami”. Lei gli diede un’occhiata di sdegno per il commento mentre lui sorrideva – sapendo che lei amava la sua sfacciataggine.

E tutti i giorni si ripeteva la stessa storia, tanto che Carmela era divenuta l’oggetto di prese in giro da parte delle sue sorelle, e della disapprovazione di sua madre. Carmela sperava che un giorno avrebbe sposato Giovanni, ma sua madre insisteva che considerasse alcuni dei ragazzi siciliani che vivevano nella sua strada. Gli stessi ragazzi con cui aveva condiviso i locali di quella putrida nave per due settimane, durante l’attraversata dell’Atlantico; quei ragazzi sporchi e rozzi, che conosceva da tutta la sua vita. Il solo pensiero di maritare uno di quei ragazzi la riempiva di collera, al punto che Carmela si decise a prendere iniziativa. “Portami fuori venerdì, alla sala da ballo”, gli disse. Non era una domanda, e Giovanni lo sapeva. Fece un cenno di consenso con il capo e poi corse a raggiungere il resto dei suoi amici.

Carmela riusciva a malapena a contenere la sua felicità mentre correva su, per le sei rampe di scale. La salita di solito le sembrava interminabile e le mozzava il fiato, ma questa volta, ogni passo che faceva, era più veloce del precedente, tanta era la sua gioia. Quando raggiunse la vetta, quasi non notò il calore soffocante nella stanza, reso ancora più opprimente dalla pungente puzza di aglio. Librava nell’aria, muovendosi tra il labirinto di oggetti e mobilio, finché la brusca insistenza della madre, che chiamava il suo nome, la fermò e la indusse a preparare la cena per tutta la famiglia. Ma nemmeno l’assillo della madre riuscì ad attenuare il suo entusiasmo.

“Ma che ti succede?” chiese la madre in siciliano stretto. Carmela capiva bene la lingua di sua madre ma si rifiutava di continuare a parlare quella lingua. Erano in America e quindi lei parlava in inglese come tutti i giovani della sua età; solo durante i suoi battibecchi si lasciava andare all’uso del suo dialetto.

Era così felice che lo urlò a squarcia gola:

“Io e Giovanni Rocca andiamo a ballare venerdì”

“Il ragazzo di Napoli? Perché non con uno dei nostri siciliani?”

Ma Carmela lo aveva già spiegato molte volte, e sua madre lo sapeva. “Va bene, ma ricordati che prima lo devi chiedere a tuo padre quando torna dal negozio, tanto è ora che trovi un marito”, le rispose sua madre. Carmela in cuor suo sapeva che suo padre non si sarebbe opposto – era la sua preferita, ovviamente dopo i suoi fratelli maschi. “Ora aiutami a finire la pasta alla norma”.

Mentre Carmela badava la salsa e cercava di concentrarsi, pensò che non fosse saporita come quella che faceva sua nonna in Sicilia, del resto sua madre doveva accontentarsi degli ingredienti disponibili a Brooklyn. Il sugo le faceva venire in mente con nostalgia i profumi e la vita del vecchio paese, dove tutto sembrava più facile, ma poi la sua mente andava verso Giovanni e il loro appuntamento, e non poteva fare a meno di pensare a quanto lei preferisse la vita in America. Se non fossero emigrati, lei non sarebbe andata a scuola, suo padre non avrebbe guadagnato soldi, e per dipiù, non avrebbe incontrato Giovanni. Una volta sposata, si sarebbe trasferita in un nuovo appartamento con meno persone e più spazio, e assieme, lei e Giovanni, avrebbe risparmiato i soldi per mandare i figli all’università. Grazie all’America, non sarebbe rimasta bloccata a morire di fame in una fattoria per il resto della sua vita.

Dopo cena, sua cugina Francesca, che era fidanzata con il figlio del droghiere (l’unico siciliano tollerabile in tutta Brooklyn), portò a Carmela alcuni vestiti da provare per venerdì. Li provò tutti, finché non si infilò un vestito blu aderente che metteva in risalto il colore olivastro della sua pelle e il marrone intenso dei suoi occhi. Appena si guardò allo specchio, Carmela rimase sorpresa da quanto il suo aspetto sembrasse italiano. Si era convinta che il grigiore di Brooklyn le avesse schiarito la pelle, ma il sole di luglio aveva messo in risalto i suoi lineamenti nitidi e il colore olivastro. Era preoccupata di essere diversa dalle ragazze americane della sala da ballo, con la loro pelle chiara, i capelli biondi e gli occhi azzurri. Ma Francesca insistette che il vestito era bellissimo e che Giovanni avrebbe avuto occhi solo per lei.

Il venerdì pomeriggio Francesca passò ore a sistemare i capelli di Carmela usando il mattarello di sua madre come arricciacapelli di fortuna. Rubò un po’ di cipria della zia e le diede un po’ di rossetto sulle labbra. Infine, dopo una lezione della madre sulle buone maniere da osservare, Carmela scese le scale per incontrare Giovanni. Tutto le sembrava diverso, non doveva far tacere i suoi passi perché nessuno la sentisse uscire di nascosto, e lui non doveva aspettare un isolato di distanza per assicurarsi che nessuno lo vedesse nel quartiere siciliano. Giovanni era lì che la attendeva, in piedi nel suo pianerottolo con i suoi pantaloni marroni più belli e le bretelle. Quando la vide in fondo alle scale, si tolse il berretto e sorrise. Non era un uomo di molte parole; ma chiunque avesse visto il suo sguardo poteva dire che quell’uomo era innamorato.

Quando arrivarono alla sala da ballo, i timori di Carmela si fecero più concreti. Le uniche persone che le assomigliavano erano alcuni calabresi, a un tavolo, che aspettavano che arrivassero le loro ragazze. Il vestito che l’aveva fatta sentire così bella improvvisamente la fece parere uno straccio in confronto alle ragazze americane che ballavano, la sua pelle era più scura e il suo accento sembrava più spesso. Si sentiva diversa. Per giorni aveva sognato di ballare tutta la notte con Giovanni, ma ora che si trovava lì, non riusciva a sentirsi uguale alle altre. Giovanni capì che Carmela era a disagio e capì subito il perché. Anche lui si sentiva diverso, ma aveva combattuto come un americano, aveva lavorato come un americano e parlava come un americano. Meritavano di stare qui come tutti gli altri, e di passare la notte a ballare. “Carmela, noi siamo americani, non importa cosa possano pensare”, la rassicurò. Nonostante le parole di Giovanni, Carmela sapeva di non esserlo, ma non voleva sprecare il suo tempo con Giovanni, così ballarono, parlarono e risero ai bordi più estremi della sala da ballo.

Quando furono stanchi e decisero di fare ritorno a casa, Giovanni le prese la mano e Carmela sentì il petto stringersi. Era così assorta nei suoi pensieri che quasi non si accorse quando lui si avvicinò e la baciò. Sopraffatta e senza parole, lei sorrise e corse nel suo appartamento.

La mattina dopo, presto, sentì la voce di suo padre in fondo al corridoio, proveniente dalla cucina. Stava parlando con qualcuno, ma non era come al solito, con il suo tono roboante siciliano; le pareva tranquillo, e perlopiù stava facendo uso di quel poco di inglese che conosceva. Poi sentì la dolce voce di Giovanni che parlava con suo padre – ognuno nelle loro lingue native, simili ma non abbastanza per capirsi – lui parlava in inglese e poi cercava di tradurre con le parole di siciliano che aveva imparato da Carmela. Potevano parlare solo di una cosa, e, quando Carmela se ne rese conto, il suo cuore iniziò a sussultare.

Quando Giovanni se ne andò, Carmela corse in cucina dove suo padre le disse di andare al piano a prendere del pane dalla groceria. Carmela prese le scale, ma quando abbassò lo sguardo, vide Giovanni in ginocchio con una piccola scatola blu in mano. Il ragazzo le sorrise vivacemente e aprì lentamente la scatola:

“Quando mia madre ha lasciato Napoli, mia nonna le ha dato l’anello di fidanzamento che mio nonno le aveva dato da conservare per ricordare il vecchio paese. E ora mia madre lo ha dato a me, per iniziare una nuova vita qui in America. Aprirò il mio negozio di barbiere e prenderò un appartamento migliore, risparmierò per tornare a visitare l’Italia e per dei vestiti più belli. Posso solo immaginare quella vita con te. Carmela Lazara, vuoi sposarmi?” I suoi occhi luminosi la guardarono colmi di speranza.

Mentre annuiva, Carmela ripeté “sì” per mille volte. Tutto ciò che poteva sognare era qui, davanti ai suoi occhi, la sua nuova vita con Giovanni, insieme in America.

(In copertina: illustrazione di Massimo Carulli)

Puoi leggere questo racconto in inglese cliccando qui

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