Ritratti d'autore

L’imperdonabile Giose Rimanelli

di EMANUELE PETTENER

Giose Rimanelli è una delle figure più straordinarie di scrittore italoamericano (e forse sarebbe corretto aggiungere “italocanadese”) per originalità di scrittura e vita avventurosa—a me particolarmente caro, in primo luogo perché ebbi modo d’incontrarlo a una cena, a casa di Anthony Tamburri, suo editore e amico. Ricordo con nitidezza questo formidabile vecchietto, sagace e ironico, gentilissimo e privo di sbruffoneria nel raccontarmi, col suo fare tagliente, le sue frequentazioni con Calvino e Pasolini. Ero all’epoca ancora piuttosto giovane e fui incantato dalla sua sveltezza di pensiero, dalla sua cultura spaventosa, dalla sua sfrontata simpatia. Solo più tardi mi avvicinai ai libri di Rimanelli e la mia ammirazione, nata per un uomo che, pur piccolo di statura, mi sembrava larger than life, divenne ammirazione per la sua qualità d’artista: aveva una scrittura piena d’immaginazione, sperimentale, così poco italiana—e piena di jazz, la sua passione. Rimasi sbalordito soprattutto da un saggio, Il mestiere del furbo, pubblicato nel ’59 da Sugar e riproposto da Bordighera Press nel 2017, testo coraggiosissimo (ma allo stesso tempo puntuale e analitico, di un’intelligenza critica rara) in cui Rimanelli denunciò i mali del mondo letterario italiano, che lo punì escludendolo e spingendolo all’esilio canadese e americano negli anni ’60. Del professor Rimanelli (insegnò italiano e letteratura comparata in diverse e prestigiose università) ricordiamo naturalmente Tiro al piccione, l’esordio italiano del ‘53 con Mondadori, nella collana “La medusa degli Italiani”, proposto da Vittorini; sarebbe dovuto uscire con Einaudi, nei “Coralli”, ma la morte di Pavese, che aveva promosso il libro malgrado alcune riserve, bloccò tutto (Einaudi oggi lo propone anche in formato Kindle). Storia della Resistenza, ma vista da chi (autore e personaggio) aveva militato nella Repubblica Sociale, divenne nel ’61 il primo film (che a Rimanelli non piacque) dell’allora ventinovenne Giuliano Montaldo. Dopo altri due romanzi mondadoriani (come il primo, tradotti negli Stati Uniti) e un quarto, Una posizione sociale, edito da Vallecchi nel ‘59, Rimanelli com’è detto viene escluso dalla scandalizzata società letteraria italiana e si trasforma in romanziere e poeta canadese e statunitense. Fra le pubblicazioni americane, cito almeno l’avanguardistico Benedetta da Guysterland: A Liquid Novel (1993, American Book Award nel ’94) in cui l’elemento italoamericano è forte, e il breve romanzo memore dell’esperienza universitaria Accademia (1997). Di Rimanelli va ricordata (e anzi, rivalutata) l’attività di poeta, saggista, critico e commediografo, ma in Italia la sua figura di uomo e narratore resta negletta. Solo recentemente, il 5 dicembre del 2021, un bell’articolo di Gianluca Zanella sul “Giornale”gli rende merito, raccontando con cura questo scrittore e in particolare il suo Tiro al piccione (https://www.ilgiornale.it/news/cultura/tiro-piccione-romanzo-dimenticato-giose-rimanelli-1992684.html ) Rimanelli è morto nel 2018: a parte i giornali molisani (era nato a Casacalenda nel 1925), nell’indifferenza totale del mondo letterario italiano, che evidentemente non perdona nemmeno a sessant’anni di distanza chi non sta dalla parte giusta, chi lo analizza senza timore alcuno, chi lo lascia.

(In copertina: illustrazione di Massimo Carulli)

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