Arti, Ritratti d'autore

Anthony Riccio, il fotografo dell’ascolto

di ILARIA SERRA

Proprio quando ci accingevamo a scrivere di lui, Anthony Riccio se ne è andato. A soli 69 anni, improvvisamente, senza clamore, com’era nel suo stile. Anthony era diventato fotografo da bambino, sviluppando i negativi nel bagno di casa a New Haven, in Connecticut. Aveva lavorato una vita come bibliotecario alla Sterling Memorial Library dell’Università di Yale, dove si prendeva cura delle collezioni speciali e nel tempo libero guidava i tour degli edifici storici. Ha sempre amato il passato, ma le persone, più degli oggetti.

Le fotografie di Anthony Riccio sono tanti abbracci ai vecchi emigranti, alle generazioni scomparse dell’America italiana. Quando le si guarda si percepisce l’affetto del fotografo. Quando lo si sentiva parlare, se ne aveva la conferma: Riccio cercava l’umanità dei suoi soggetti, li conosceva, li ascoltava, li stimava per quel che erano. Quando camminava per le strade si fermava a conoscere le persone che fotografava, vi parlava per diventarne amico. Riccio amava la fotografia, ma ancor di più amava coloro che fotografava. Con la sua presentazione al Symposium “Italy in Transit” di Florida Atlantic University nel febbraio del 2020, aveva conquistato il pubblico, composto per la maggior parte da italoamericani, perché da lui – attraverso le sue fotografie – si sentivano valorizzati e guardati con affetto.

Era bravissimo nel suo lavoro di ricerca come storico orale e fotografo di strada. Sapeva catturare le storie minori, aveva la pazienza per ascoltare i racconti degli anziani e la curiosità per documentare la vita dei paesi italiani e delle Little Italy del Nord Est. I suoi tre libri sono incentrati sulla vita delle persone: le voci e i volti degli italoamericani di New Heaven, sua città natale, in The Italian American Experience in New Haven: Images and Oral Histories (2006); le storie delle donne lavoratrici in Farms, Factories, and Families: Italian American Women of Connecticut (2014), e la vita del quartiere italiano di Boston in ​Boston’s North End: Images and Recollections of an Italian-American Neighborhood (2017). Quest’ultimo fu scritto quando era stato assunto da un’agenzia governativa di sostegno alle classi povere negli anni ’70, lo aveva dedicato “alla gente del North End di Boston che mi ha dato il benvenuto nelle loro case e mi ha affidato la sua saggezza.” Il quarto libro sta per uscire, postumo, con il titolo Stories, Streets, and Saints e ancora una volta unirà storie orali e scatti fotografici che parlano di lavori in minera, di feste patronali, di ricette e antiche preghiere.

Qualche settimana fa avevo chiesto a Anthony di scegliere uno scatto da pubblicare su Strade Dorate, uno scatto che lo definisse. Aveva scelto “My Daily Prayer” (la mia preghiera quotidiana) fatta a Pisticci, in Basilicata, nel 1975.

Gli sembrava che fosse la foto che più catturasse “il momento decisivo” definito da Cartier-Bresson, “il momento di umanità” racchiuso in un’immagine. La storia di questa foto parte da lontano, ma arriva ad oggi. “La storia è molto bella.  Nel 1975, dopo un anno di studio a Firenze, invece di tornare a casa, avevo deciso di fare un Grand Tour in Italia. Con un europass prendevo i treni, scendevo in molti piccoli paesi, e poi camminavo come street photographer, fotografando la vita quotidiana. Quel giorno mi ero trovato a Pisticci e c’era questa anziana seduta che leggeva il suo libretto e pregava in uno stato di pace che mi colpì molto. Non volevo disturbarla, ma la vicina che stava alla porta accanto mi disse: “Fai la foto, vai, vai.  Lei fa così ogni giorno proprio a quest’ora.” Con questo incoraggiamento, scattai due foto, una in bianco e nero e una a colori (portavo sempre due macchine fotografiche). Lei non si è mai mossa e non si è resa neppure conto delle foto perché era completamente immersa nella preghiera. Come tutti gli anziani di Pisticci, portava l’abito tipico.”

Ma cosa vedeva Anthony in questa donna? Molto più che una vecchietta accovacciata sulla soglia: “Quella foto rappresenta non solo una cultura antica, ma un modo di vita ormai perduto, sconosciuto e dimenticato. In quel volto, nel ritratto come biografia visiva, si vede un senso di pietà, uno sguardo che riflette speranza, saggezza, gentilezza, una persona che ha lavorato molto nella vita. Per anni il suo volto mi ha incantato, ma non la conoscevo e quindi non sapevo la storia della sua vita. Dovevo immaginarla, indovinarla attraverso la sua espressione, le rughe sulla sua fronte, una faccia disfatta dal dolore.”

Ma la storia non finisce qui, grazie alla genuina curiosità di Anthony. Poco dopo avermi raccontato questa storia, Anthony ha postato la foto in un sito dedicato al paese di Pisticci. Con sua sorpresa, “la reazione è stata incredibile! Tutti conoscevano questa anziana e mi hanno scritto storie e storie su di lei. Dopo quarantasei anni il mistero è stato risolto! Ora la fotografia non è piu intitolata ‘My Daily Prayer.’ Il suo nome era Grazia (Pece) Lazazzera, nata il 9 Settembre 1900 e deceduta il 23 Agosto 1982.  Aveva settantacinque anni quando scattai la foto. Aveva avuto una vita piena di sacrifici e gravi dolori: aveva perso nove figli, tutti sotto i vent’anni. Quando suo marito tornò dalla prima guerra mondiale era distrutto, e lei continuò a lavorare come fornaia per sostenere la famiglia. Mi hanno detto in molti che era ben voluta dal paese che la chiamava Zia Grazia oppure d’za ‘ Jrazj. Era conosciuta anche come ‘a tranciesa,’ un soprannome che deriva dal trancio che usava per separare l’impasto del pane. Era loquace e raccontava i vecchi detti e le barzellette pisticcesi. Ora capisco perche c’erano macchioline bianche sul suo grembiule: era sporco di farina!”

La storia di questa fotografia riflette la sensibilità di Anthony Riccio, il suo amore per la gente e per la cultura italoamericana, la sua venerazione per gli anziani e per le loro memorie. E chissà, mi piace pensare che forse la signora Grazia si è fatta conoscere da Anthony qualche giorno prima della sua morte, per poi accoglierlo da amico.

(In copertina: illustrazione di Massimo Carulli)

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