Inediti

Mangia con quelli di cui ti fidi

di ANNIE LANZILLOTTO

Bronx, New York, 1968

“La guerra è piena di fumo”. La risata di Lanzi è un’unica esalazione burbera. Il fumo di sigaretta gli sgorga dalle narici e sale attraverso la luce sul tavolo. Le sue sopracciglia sono spesse e nere e si muovono su e giù, una alla volta, veloci come palette di un flipper. Il suo sopracciglio sinistro è interrotto da un grumo di pelle pendente. Rabbrividisco per le risate e mi abbasso sotto il flusso di fumo. “Tu lo chiami fumo, papà, non sai nemmeno cos’è il fumo”. Mio padre mi chiama papà. Lui mi appartiene. Posa la sigaretta su un piatto. Il fumo sale in una spirale bianca che si arriccia intorno al lampadario a ruota di carro e si espande sul soffitto di latta modellato come diecimila pizzelle. La maggior parte delle sere ci siamo solo io e lui seduti intorno al tavolo d’acero. I miei fratelli e mia sorella sono abbastanza grandi per essere fuori. Rosemarie lavora da Macy’s. CarKey e Anth’ny corrono per le strade. Mio padre dice che con i ragazzi non c’è bisogno di sapere sempre dove sono. Io voglio essere un ragazzo. Mi sento un ragazzo per la maggior parte del tempo, ma non sono libera come i veri ragazzi. Metto i piedi sul tavolo, mangio con le mani, mi sporco i vestiti, mi appoggio sulle gambe posteriori della sedia. Quando le donne fanno i piatti, mi siedo a tavola con gli uomini. Mi sento più libera quando sono solo con mio padre. Si prende il tempo di insegnarmi le cose. Disegna un cerchio intorno al nome di un cavallo da corsa e sottolinea il nome del fantino. Disegna una freccia sul cavallo e scrive “sciatto alla partenza”, con una matita grande come il suo mozzicone di sigaretta. Affila la punta con un coltello da bistecca, i trucioli di legno e piombo si mescolano alla cenere. Io tossisco. Lui scaccia via i riccioli di fumo che pendono tra noi. Studiamo i nomi dei cavalli e dei fantini. Lui indica una colonna di numeri e mi mostra quante corse ha fatto ogni cavallo sulla terra battuta della pista. Altre colonne elencano quanti soldi il purosangue ha vinto quest’anno, quante vittorie ha il fantino, qual è il montepremi del cavallo nel corso della sua vita. Mi mette alla prova sulle diverse risposte. Sulle ginocchia di mio padre imparo le parole: furlong, flank, platoon, kamikaze.

“Le sigarette sono un bene di prima necessità”, dice, “l’esercito distribuisce sigarette nelle K-Rations”. Due Chesterfield, una fetta di formaggio e un paio di cracker. Questo è tutto ciò di cui il corpo ha bisogno. Finché si mangia con persone di cui ci si fida”.

Questo è il Bronx. Le lezioni si imparano presto.

Io imparo a contare con un mazzo di carte. “Asso e due, tre, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, Jack, Regina, Re”. Lui chiama e io ripeto. “L’Asso può arrivare alto o basso”. Spinge da parte i suoi raccoglitori per le corse dei cavalli, tira fuori due mazzi di carte e comincia a mischiare. Corro a prendere il mio barattolo pieno di monete da sotto il letto e i dollari dal mio cassetto dei calzini, e butto tutto sul tavolo d’acero. Lanzi mescola le carte da una mano all’altra poi fa il ponte svolazzante tra le sue due mani. Le mie mani non sono abbastanza grandi per farlo. Le mani di Lanzi sono enormi. Schiaccia una noce tra le nocche dell’indice e del medio. La pelle delle nocche, sotto le unghie, e le linee dei suoi palmi sono incise di nero, da macchie d’olio accumulate negli anni; il suo destino è indelebile. Sbatte il mazzo sul tavolo. Flussi di fumo blu gli sgorgano dalle narici.

“Taglia, papà”, dice.

Ne afferro la metà e la butto giù. Lui mette insieme le pile.

“Ne seppelliamo una”, dice, e prende la carta più alta, ne mostra la faccia e la mette sul fondo. È il due di quadri. Lanzi solleva un sopracciglio con l’angolo più ripido che un sopracciglio possa avere. Si lecca il pollice e tira giù le carte, una a me, una a lui, ripetutamente. Mi sventolo le carte in mano. Sono troppe per tenerle in mano. Metto il ventaglio di carte davanti a me.

“Allora papà, sei tutta presa dall’entusiasmo per l’asilo, eh? Bene, bene. Bene. Bene. Ma ricorda, ascoltami, tieni gli occhi sul marciapiede e la bocca chiusa nel cortile della scuola. Sii un ascoltatore, non un chiacchierone. Il ragazzo che sa di più dice sempre il minimo. Ricordatelo. Tu, sei un affare tuo. Tutti gli altri sono degli intrusi”.

Guarda nel fumo che soffia. Il velo si alza su di me. Sgualcisco le mie banconote da un dollaro e le faccio rivolgere nella stessa direzione. Lui sceglie una carta e ne butta giù una.

“Cammina con passo diretto lì, un piede davanti all’altro. Se qualcuno ti guarda per strada, tu non dici niente e continui a camminare. Devi essere costantemente consapevole di chi è dietro di te. Se qualcuno ti sorride, vuole qualcosa. Stai lontana. Le cose stupide non succedono a chi è consapevole. Guarda in entrambe le direzioni, capisci, prima di attraversare anche una strada a senso unico. Strada a senso unico, senso unico, chi dice il senso unico? Quando ti siedi in classe, assicurati di non sederti vicino alle finestre. Un proiettile che entra dal fondo della finestra causerà il massimo effetto shrapnel. Ti conviene abbassarti sotto la finestra. Vuoi coprirti la testa. Non si sa mai. Se colpisci il pavimento. Tieni la bocca chiusa e se qualcuno ti fa arrabbiare, sbarazzati di lui”.

Le vecchie banconote da un dollaro hanno l’odore del fuoco. Mio padre mi passa la sua lente d’ingrandimento e io la passo sui dettagli delle banconote come mi ha insegnato, la firma del Segretario del Tesoro, l’ombra sulla testa del numero uno, l’occhio sopra la piramide, il codice dei numeri che iniziano con una lettera maiuscola per rintracciare dove è nata la banconota. Filadelfia. Denver. Scelgo una carta e la inserisco nella mia mano.

“Non tirare le carte così in alto. E se sono in cahootz con un tizio in piedi dietro di te? E se ci fosse uno specchio? Hah? Sii consapevole di cosa c’è dietro di te. Sii consapevole di chi è dietro di te”.

I penny che impilo in torri di dieci. I penny “pula di grano” li metto da parte per conservarli nella mia banca meccanica. Metto il penny nel fucile del cacciatore, tiro la manovella e lui lo spara in un tronco. Pile di penny che metto in torri, torri che metto in file, file in plotoni.

“Butta giù”, dice mio padre.

Il Re di Fiori assomiglia a mio padre. Ha un ricciolo in fondo ai capelli e agita una mazza su chiunque voglia.

“Busso”, dice, e depone le sue carte. Mio padre prende tutti i punti in mano. “Chi perde dà le carte”.

Lanzi spinge tutte le carte davanti a me. Cerco di mischiarle ma cadono, alcune a faccia in su. Questo è un no-no. Le rigiro tutte e ricomincio. C’è una donna in un mazzo di carte e tre uomini, il Jack, il Re e il Joker. Il Jack di cuori assomiglia a mio fratello CarKey, biondo con teneri occhi azzurri. Anth’ny è il Joker. Ride senza motivo e non so mai cosa aspettarmi da lui. Le cose spariscono dalla casa. Ma non ha mai intenzione di fare del male e cerca di essere divertente. I Joker li mettiamo da parte. Ci guardano giocare. Rosemarie e mia madre Rachel assomigliano entrambe alla regina di picche, occhi azzurri, sguardo serio. Tengono scettri come lunghi cucchiai di legno. Il Re di Cuori tiene un coltello dietro la testa, e non riesco a immaginare perché.

Do un colpetto a un quarto di dollaro in piedi. Vola attraverso il tavolo d’acero. Mi esercito a muovere il dito in aria.

“Concentrati, papà. Stiamo giocando a pinnacolo o a far girare le monete?”.

“Mi sto concentrando. Fammi vedere solo una volta”.

Rilascio il mio dito medio sul bordo di un quarto di dollaro in piedi tenuto su dalla polpa dell’indice della mano sinistra. La moneta cade.

“Prova ancora papà, devi imparare ad avere il tocco giusto”.

“Le mie mani sono piccole”.

“Non importa. Devi solo colpire il bordo. Stai colpendo troppo la moneta”.

Fa girare cinque quarti di dollaro alla volta. I fantasmi delle monete che girano di mio padre turbinano nella lucentezza del tavolo d’acero. Le mie cadono a terra o volano nelle tende.

“Arriccia il dito medio così, vedi, nel cuscinetto del pollice. Tienilo teso, tutta la parte superiore del dito, così quando il pollice lascia andare, il dito vola. E se trovi delle monete d’argento massiccio, sono più vecchie di te. Tienile strette”.

“Che vuoi dire?”

“Guarda le creste delle pareti laterali, papà. Vedi la banda spaccata di rame e nichel? Vedi se riesci a trovarne una senza quella. Solo argento. Quelli sono quelli vecchi”.

Il tavolo d’acero è la nostra pista di pattinaggio. I miei polpastrelli si anneriscono per aver giocato con i soldi e puzzano di rame. Più tardi andrò in bagno e immergerò le mani nel barattolo di solvente per grassi di mio padre che è sul water. Strofinerò il solvente granuloso nelle mie mani. Guarderò nello specchio del bagno e dirò: “Non c’è sapone che possa togliere il grasso da queste mani”. Questa è la storia di New York. Chi pensate che abbia riparato tutti i bruciatori a olio in tutti questi edifici? Chi pensate che abbia portato tutto il ghiaccio su per tutte le scale?”.

Giochiamo fino alle undici di sera, poi mettiamo via i soldi e le carte. Mia madre Rachel si avvicina con il suo straccio all’olio di limone, mi dice di mettere la sedia dritta su quattro gambe e dà una ripassata al tavolo. Il tavolo d’acero sta sotto la luce come un cavallo da corsa in una stalla. Mio padre si appoggi sul tavolo per alzarsi dalla sedia, e il tavolo grugnisce.

Mia madre dice qualcosa.

E lui dice: “Sta’ zitta, tu”.

Rachel spinge lo straccio in circolo con il suo braccio forte e nudo, gira lo straccio, lo ripiega e disegna i circoli fino a renderli lucidi. La bacio e posso vedere le impronte delle mie labbra nel lucido. Le gambe del tavolo si gonfiano in polpacci formosi. Quattro gambe forti che lei accarezza su e giù.

Seguo Lanzi in salotto dove guardiamo il telegiornale. La Prima Divisione dei Marines è in Vietnam ed è di questo che lui vuole sapere. I miei fratelli sono adolescenti e la leva si avvicina. A mezzanotte io e Lanzi facciamo dei sangwiches, un mucchio di salame, provolone, prosciutto, lattuga, pomodoro, senape, su pane italiano. Guardiamo Alfred Hitchcock Presents. Riempiamo ciotole di cereali con il gelato. Guardiamo The Twilaght Zone. La tensione nel mio corpo corrisponde alla tensione delle storie. Un episodio si ripete nella mia mente per anni. Un aereo ad elica con segni rossi sulle ali si schianta in una casa, squarcia le pareti del soggiorno e atterra accanto al divano. La donna nella casa ha una connessione passata con il pilota. Lui è disperso dai tempi della guerra. Lei ha aspettato. Questo è l’episodio che non vuole lasciare la mia mente. Il soldato disperso piomba nel soggiorno e porta la sua guerra proprio sul divano. Vedo mio padre da giovane marine, mio padre volteggia sopra la testa, mio padre può demolire il cartongesso che circonda le nostre stanze in qualsiasi momento ora. I muri possono spaccarsi in qualsiasi momento ora. Mi metto di fronte al televisore. Faccio scorrere le dita sul terreno ondulato del nostro tappeto blu-verde profondo del soggiorno. Vedo le onde dell’oceano nel nostro tappeto. Vedo l’Oceano Pacifico. Vedo mio padre sulle isole di Okinawa e Guadalcanal in quel mare blu. Vedo la Prima Divisione dei Marines tagliare a metà l’isola di Okinawa. Vedo la Sesta Divisione dei Marines a nord. L’esercito a sud. Dico quello che direbbe mio padre:

“Siamo sbarcati su Blue Beach dalla U.S.S. Maggoffin – l’abbiamo chiamata La mia bara”. L’unica luce accesa è quella del televisore e delle luci posteriori del camioncino della Hess che Lanzi mi ha comprato. Dei dinosauri di plastica grigia che ha preso dalla ESSO Fuel Oil Company stanno in mezzo al camion. Il mio camion passa sul mare, dove i dinosauri escono dall’acqua.

Mi sdraio nell’acqua.

Mio padre mi porta a dormire, si siede su una sedia accanto al mio letto e mi racconta una storia.

“C’era una volta un cavallo bianco, e sul cavallo bianco c’era una principessa di nome Annie. La principessa Annie cavalcò il cavallo bianco su una montagna. Sulla strada per la montagna incontrarono una capra. La capra disse: “Ehi, dove stai andando?” E la principessa Annie disse: “In cima alla montagna”. E la capra disse: “Posso venire anch’io?”. “Certo”, disse la principessa Annie, e il cavallo bianco e la capra salirono sulla montagna. E mentre salivano sulla montagna incontrarono un leone, e il leone disse: “Dove andate?”. E la principessa Annie disse: “In cima alla montagna”. E il leone disse: “Posso venire anch’io?”. “Certo”, disse la principessa Annie, e il cavallo bianco, la capra e il leone salirono sulla montagna. E mentre salivano sulla montagna incontrarono un coniglio. E il coniglio disse: “Dove state andando?” E la principessa Annie disse: “In cima alla montagna”. E il coniglio disse: “Posso venire anch’io?”. “Certo”, disse la principessa Annie, e il cavallo bianco, la capra, il leone e il coniglio salirono sulla montagna. E mentre salivano sulla montagna incontrarono un uccellino. E l’uccellino disse: “Ehi, dove state andando?”

Mio padre si abbandona al silenzio e fissa il buio. “Siamo andati sul fianco sinistro della collina. C’è stata un’esplosione dalle radici di un albero. Pensavo di averlo preso. Ma lui ha preso te. Ho detto ‘No Hewitt. No. Non c’era niente che potessi fare. Ma l’ho preso. Ho preso l’orecchio. Ho preso i denti d’oro. Per te, li ho presi”.

Mi alzo dal letto e volo attraverso il soggiorno e lo stretto corridoio fuori dalla stanza dei miei fratelli. Soupy Sales vola dietro di me attraverso il corridoio che porta alla cucina. Mi insegue tra le doppie porte che separano la cucina dal resto della casa, una porta a zanzariera e una porta a vetri. Soupy Sales ha un grande sorriso. Indossa un papillon, il suo completo pied-de-poule bianco e nero mi fa girare la testa. Lo chiudo fuori. Lui vola attraverso le porte e mi insegue in cucina. Volo a sinistra, scendo le scale a chiocciola fino al seminterrato. Il seminterrato è buio pesto. Sono in trappola. Cado nell’abisso nero, crollo. Stringo il materasso come se cadesse con me, e cado di nuovo nel letto.

Capitolo primo del libro : “L is for Lion: an italian bronx butch freedom memoir”, SUNY Press, Collana di Italian American Culture , Excelsior Editions

Leggi questo estratto in inglese

In copertina: illustrazione di Barbara Di Bernardo

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