Interviste

Sara Marinelli: scrittura, sogni e progetti di un’italiana a San Francisco

di VALENTINA DI CESARE

Nove ore di fuso non sono niente.
Se dormo di giorno e sto sveglia di notte, sono in sincronia perfetta. Con lei. Con l’Italia, dove non vivo più da 13 anni, e che ora vive dentro la mia stanza.

Inizia con queste parole Shelter in place (l’Italia in una stanza), un interessante articolo comparso su Nazione Indiana nella primavera dello scorso anno a firma di Sara Marinelli, scrittrice, produttrice e docente italiana da tredici anni a San Francisco. Ero sulle sue tracce da un po’, curiosa di sapere di più della sua storia ma soprattutto ansiosa di conoscere il suo ultimo progetto: un documentario audio intitolato “Letters to Italy, nato proprio durante i primi mesi di pandemia. Tra le tante conseguenze dovute all’improvviso impatto del Covid-19 sulle esistenze di ognuno di noi infatti, la diffusione del virus non ha permesso a milioni di cittadini emigrati ( non solo italiani) di far ritorno tranquillamente nel proprio paese per brevi o lunghi periodi. Non sarà complicato del resto riavvolgere i nastri della memoria e ricordare le immagini trasmesse dai telegiornali di tutto il mondo, in cui lavoratori e studenti fuorisede prendevano d’assalto aeroporti e stazioni pur di far ritorno a casa prima del tempo. Questo interessante lavoro di Sara Marinelli, concentratosi prevalentemente sull’impatto che la pandemia ha avuto sui cittadini italiani emigrati e ormai residenti nella Bay Area dove anche lei vive, ha messo a nudo sentimenti e paure di donne e uomini del nostro tempo, rivelando quanto tutto quel che fino ad allora era parso scontato, irrimediabilmente è diventato difficile, per alcuni versi addirittura impossibile. L’impegno e i progetti di Sara Marinelli non si limitano però soltanto a questo importante documentario audio , di cui ci ha molto parlato nell’ intervista. E’ dalla sua storia che siamo partiti scoprendo molto di lei : gli studi universitari, il dottorato, l’arrivo negli Stati Uniti, la passione per la letteratura e la scrittura creativa, le pubblicazioni e le collaborazioni che ha portato avanti in questi anni ( in inglese ha scritto per Blue Mesa Review, New American Writing, Sparkle & Blink, in italiano per Nazione Indiana, Il Manifesto, Alias, Leggendaria), le attività culturali e di ricerca realizzate e da realizzare. Attualmente Sara, oltre a proseguire le sue attività di docenza, è co-produttrice del podcast This is Actually Happening e produce e conduce uno spettacolo di musica italiana, Italian Frequency, su KXSF 102.5, San Francisco Community Radio, ogni altro lunedì dalle 14:00 alle 16:00. In passato è stata produttrice associata e montatrice presso Open Eye Pictures, dove ha lavorato al suo cortometraggio PASSAGE e al documentario ALFREDO’S FIRE. Dal 2014 al 2019, ha prodotto e ospitato la Hazel Reading Series una serie di letture per sole donne a San Francisco.

Come e perchè sei arrivata in California?

Sono arrivata in California con una fellowship presso l’Università di Santa Cruz, al Center for Cultural Studies. In quel periodo stavo terminando il mio dottorato in English and Cultural Studies all’Università “La Sapienza” di Roma e facevo ricerca per scrivere la mia tesi. Dopo qualche tempo a Santa Cruz sono tornata in Italia e ho finito il dottorato per poi ripartire nuovamente per gli Stati Uniti. Ho ottenuto un postdoc, sempre all’Università di Santa Cruz , dove ho continuato a fare ricerca occupandomi anche delle culture del Pacifico. Terminato il postdoc, mi sono spostata alla University of San Francisco dove tuttora insegno Letterature Comparate e per un periodo ho anche insegnato Humanities alla San Francisco State University.

Cosa puoi dirci della comunità italiana nella Bay Area?

In questo territorio abbiamo una comunità più datata, quella risalente allo scorso secolo e a quello ancora precedente, le cui motivazioni sono quelle storiche che tutti conosciamo, e una decisamente più recente composta prevalentemente da ricercatori, imprenditori, professionisti che hanno deciso di vivere qui (specialmente nella Silicon Valley) con presupposti completamente diversi, è chiaro. Si tratta di persone che hanno avuto la possibilità di seguire precisi percorsi di studio e di conseguenza hanno fatto scelte molto più consapevoli. Certamente la caratteristica principale delle prime comunità italiane era quella di ritrovarsi e di mantenere contatti molto stretti tra loro tramite associazioni e luoghi di ritrovo comuni, mentre le nuove generazioni di italiani che studiano e lavorano in California appaiono assai diverse e mi sembrano più vocate all’incontro con le altre culture, insomma in linea generale sono meno interessate a incontrare e frequentare in città i propri connazionali. Io stessa, perlomeno durante i primi anni in California, ero naturalmente protesa a conoscere persone non italiane, probabilmente per la grande curiosità nei confronti delle altre culture che da sempre mi contraddistingue. Pian piano succede poi che tra italiani ci si ritrova in qualche modo o semplicemente ci si conosce o ci si riconosce. Probabilmente, anche se non è un processo generalizzabile al cento per cento, dopo un po’ di anni in cui si vive all’estero, passato il momento iniziale di completo e voluto distacco dal proprio paese di origine, c’è qualcosa che ci fa riavvicinare a esso, direttamente o indirettamente. Sicuramente San Francisco continua ad essere un luogo chiave per la nostra comunità, sia che si tratti di cittadini di seconde o terze generazioni sia che si tratti di persone trasferitesi negli ultimi anni, del resto è una città importante, energica e ricca di possibilità. Durante i primi periodi della pandemia , quando non era ancora ben chiaro cosa stesse accadendo e non si poteva ipotizzare nè immaginare nulla dell’immediato futuro, io ho iniziato a sentire una mancanza grandissima del nostro paese. In quei mesi si è impadronita di me una sensazione che non provavo da tempo e che avevo dimenticato: guardando in tv le immagini dell’Italia, avrei dato qualsiasi cosa per essere lì. Mi sentivo in trappola nel mio appartamento: l’impossibilità di far ritorno a casa mi rendeva molto triste, era come se improvvisamente il mio vecchio paese fosse diventato ancora più lontano di prima. Ero alla ricerca di una connessione con l’Italia, con quel che lì mi aveva sempre aspettata e in un certo senso rassicurata, e così pian piano si è materializzata in me l’idea di realizzare “Letters to Italy”.

Cos’è Letters to Italy e come nasce?

Questo podcast a puntate nasce dall’idea di raccontare l’impatto del Covid – 19 sulle vite di noi cittadini italiani emigrati nella Bay Area. In quel clima improvviso di sconforto e incertezza, ho voluto indagare sui sentimenti che hanno colpito gli espatriati italiani nel momento in cui hanno scoperto che il loro paese, lontano migliaia di chilometri, era il centro della pandemia in Europa. Il progetto è una sorta di incrocio tra un diario personale e un documentario: desideravo capire come l’imperversare del virus , con tutte le sue conseguenze sulle nostre vite, avesse influito sul rapporto con il nostro paese di origine, con quel che lì avevamo lasciato ma che rappresentava – e rappresenta per chi parte- una solida certezza. In ogni episodio c’è una conversazione con un italiano o un’italiana emigrati nella Bay Area: i nostri dialoghi erano volti a capire in che modo la pandemia era stata in grado di cambiare le loro vite ma erano anche finalizzati a comprendere come ognuno di loro avesse proseguito a mantenere il contatto e il legame con l’Italia in un momento così delicato, di paura e disorientamento. Attraverso un collage di memo vocali, notizie, telefonate, canzoni registrate quando si cantava dai balconi, ho esplorato il mio senso di appartenenza all’Italia, cercando strade per connettermi intimamente al mio paese, anche e soprattutto attraverso le esperienze di altri espatriati come me. Con ogni ospite abbiamo affrontato molti argomenti concentrandoci soprattutto sulle questioni legate all’appartenenza ad una comunità, ma abbiamo parlato anche di resilienza e di come l’esperienza di lontananza forzata da casa si sia trasformata in una sfida importante dalla quale ricavare un’opportunità. Il podcast si apre e si chiude con due episodi che mi riguardano più da vicino e che sono di raccordo, l’alfa e l’omega del progetto nei quali io mi racconto maggiormente. In particolare nell’ultimo episodio faccio una sorta di summa di tutte le conversazioni avvenute tra me e i miei ospiti, rifletto e traccio una linea per ricomporre quel senso di appartenenza che è stato al centro del progetto e condivido una lettera al mio “io futuro” nella quale immagino il periodo post – quarantena. Gli ospiti del mio documentario audio sono stati i seguenti: Valentina Imbeni, fondatrice e direttrice de “La Scuola- International School” che si trova a San Francisco e che promuove l’approccio educativo di Reggio Emilia; Lucina Di Meco, esperta di genere e sostenitrice dei diritti delle donne nonchè Senior Director of Girl’s Education and Gender Equality per l’organizzazione non profit Room to Read; Lorenzo Ortona, Console Generale d’Italia a San Francisco ; Angelo Greco, primo ballerino del San Francisco Ballet; Laura Inserra, musicista, compositrice e polistrumentista; Elisabetta Ghisini, imprenditrice e presidentessa del Comites San Francisco. Si tratta di personalità tutte molto diverse tra loro, provenienti da background differenti : dal mondo del sociale a quello della formazione e dell’educazione, dal mondo dell’arte a quello dell’imprenditoria fino al settore della politica e della diplomazia. Tante voci uniche, ognuna con una propria storia e un proprio percorso, ma per un momento molto molto vicine, quasi a intonare lo stesso “canto”.

Dopo la straordinaria esperienza di Letters to Italy quali sono i tuoi progetti futuri?

C’è un progetto di recupero della memoria al quale avevo iniziato a lavorare in concomitanza con Letters to Italy. Si tratta di un progetto che mi vede protagonista insieme ad un collettivo di artisti che vivono perlopiù nella zona della East Coast e che si chiama “One hundred days of art”. Consisteva nel ripetere un gesto artistico per cento giorni di seguito. Ho deciso di farlo perchè mi interessava concentrarmi sulla memoria passata, in quanto soprattutto grazie al lavoro fatto con Letters to Italy e a quel distacco forzato da casa, avevo iniziato a riprendere confidenza con i miei ricordi. Sono tornata, dopo molti anni, alla scrittura in italiano, e per cento giorni mi sono messa dinanzi al foglio bianco scrivendo un brano per ogni giorno, andando alla ricerca delle mie memorie di bambina, quelle che credevo perdute o che avevo rimosso. Non so bene cosa ne sarà, né so se questo lavoro prima o poi sarà pubblicato: attualmente è finito ma credo che continuerò a dedicarmi alla scrittura, al memoir; ho capito che mi interessa approfondire questo mio rapporto con la memoria anche e soprattutto in relazione al presente, a quel che sono diventata. Probabilmente sento questa forte esigenza di ritrovare le mie tracce, in un certo senso di ricompormi, essendomi sradicata molti anni fa.

(In copertina: illustrazione di Massimo Carulli)

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