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Tre cerchi di luce: Pietro Di Donato e lo sguardo sull’emarginazione degli ultimi.

di VALENTINA DI CESARE

Il nostro appartamento, terzo piano a destra, era composto di quattro stanze anguste, col soffitto alto: il salotto, poveramente arredato, con le finestre che davano sulla Central Avenue, due camere che ricevevano la poca luce scialba da un umido cortile simile a un pozzo, e la cucina (…).Alla parete opposta un calendario italiano con il ritratto di Re Umberto e le festività religiose illustrate, l’almanacco della birra Ruppert e il macinino del caffè. Su una mensola la statua colorata della Madonna col Bambino, sotto una campana di vetro, e i lumini accesi davanti; sopra, il crocifisso circondato di rami d’ulivo benedetto(…). Il casamento ospitava ebrei, irlandesi, italiani e armeni. L’ingresso, simile a un labirinto in cui fosse celato il babau, puzzava dell’afrore lanoso di grasso di montone, di cipolla, d’aglio, d’orina di gatto e di rifiuti.

In questo angusto appartamento di quattro stanze, con le finestre che danno sulla Central Avenue, inizia la narrazione di Tre cerchi di luce, il romanzo che Pietro Di Donato pubblica in America nel 1960 con il titolo di Three circles of light. Autore nel 1939 del suo romanzo più noto “Christ in Concrete”, che gli valse il premio di 100.000 dollari del “Book of the month Club” e dal quale fu tratta, nel 1949, la pellicola cinematografica “Give us this day” diretta dal regista statutitense Edward Dmytryk, con Tre cerchi di luce Pietro Di Donato conclude la triade dei suoi romanzi più spiccatamente autobiografici per poi dedicarsi, nei lavori successivi, sempre partendo dalla sua esperienza personale di figlio di emigranti, a temi più ampi quali la religiosità popolare e le contraddizioni della fede.

In Tre cerchi di luce, pubblicato per la prima volta in lingua italiana da Rizzoli nel 1961, il giovane protagonista Paolino racconta con un linguaggio asciutto e disincantato, seppur intriso di una forte sensibilità, la vita raminga trascorsa nel quartiere, tra casa, strada , mercati e caffè . L’imbattersi quotidiano tra i “paesani” di Vasto che , di tanto in tanto, ospitano nelle loro case lontani parenti, cugini e amici richiamati dall’Italia, è un’immersione continua nella cultura di appartenenza di cui il ragazzo sente parlare dai numerosi racconti ma che percepisce come profondamente sua. Numerose le tipologie umane che Paolino incontra, tante e curiose le storie che ascolta; sin da piccolo assiste come un adulto a ogni discussione, partecipa alla vita della sua comunità e ne assorbe ogni sfumatura. E’ sospeso tra il paese che non ha mai conosciuto e che sente scorrergli nelle vene, l’Italia, e il paese in cui è nato, che gli appartiene e al quale appartiene , l’America.

Monelli smunti e sudici e ragazzini puliti e ben messi mi gridavano dietro : «Wop, guinea, dago, Tony macaroni, ohè paesano!»

L’etnia italiana, quelli come lui , l’hanno tutti scritta in faccia e i nomignoli , pronti a denigrare e a deridere certi tratti e talune tipicità, non si fanno attendere. I personaggi che popolano l’ infanzia di Paolino non hanno nomi ma soprannomi; alcuni di loro decidono ben presto di invertire la rotta e di americanizzare il proprio cognome, per ridurre le distanze con la terra che li ospita. Per i nuovi arrivati dall’Italia, le impellenze maggiori sono trovare un lavoro e una moglie, spesso a qualsiasi costo mentre Paolino frequenta la scuola parrocchiale insieme a decine di altri giovanissimi figli di immigrati come lui e, dopo la scuola , non fa che vagabondare per il quartiere.

Non fatica certo Pietro Di Donato a narrare con così tanta precisione questa piccola grande commedia umana : nato a West Hoboken nel New Jersey, da una umile famiglia di origini abruzzesi, sin da molto giovane il futuro scrittore deve forzatamente accantonare la (già rara) spensieratezza dei tempi per mantenere la sua famiglia. Il padre Geremia, giunto negli Stati Uniti nell’aprile dei primi del ‘900 tramite un falso atto di richiamo, si adatta a fare qualsiasi lavoro pur di portare a casa quei pochi dollari che bastano per sopravvivere. La sua vita non è diversa da quella dei moltissimi conterranei, abruzzesi e più in generale italiani, che hanno lasciato le proprie terre per tentare una vita migliore dall’altra parte del mondo. Ma la fatica inenarrabile, le condizioni di lavoro più che precarie, le paghe misere , la mancanza di ogni minima tutela espongono ogni giorno Geremia e tutti quelli come lui a rischiare quotidianamente il bene più prezioso: la vita. Vita che un venerdì santo l’uomo perderà. Pietro, il più grande dei figli di Geremia , a soli dodici anni dovrà diventare forzatamente il capofamiglia. Prenderà in mano gli attrezzi del mestiere e, da buon vastese, anche lui inizierà a fare il manovale. Con gli anni, Pietro Di Donato si accorgerà che lo studio la lettura e la scrittura sono le sole strade che gli permetteranno di salvarsi . Attraverso esse , lo scrittore sarà in grado di fare ordine, di scomporre e ricostruire tutte le sue consapevolezze civili e sociali, che faranno da sfondo ad ogni sua testimonianza.

Ben presto il nostro appartamento fu pieno zeppo di paesani. Ultimi giunsero il capitano Vadi, il vecchio pescivendolo ambulante e, con sorpresa di tutti, l’unico aristocratico di Vasto e dintorni, il conte Andrini, altissimo, scheletrico, col monocolo, che si moveva a perpendicolo con la testa incassata fra le spalle. Per la sua guardatura e per il modo di camminare i paesani gli avevano appioppato il nomignolo di “Scarafaggio”.

Immerso e affascinato dalla compagine variegata dei “paesani”, la sensibilità del protagonista di Tre cerchi di luce non può non risentire delle conseguenze della prima guerra mondiale e dell’epidemia spagnola. Le tragedie pubbliche si mescolano a quelle private per le quali si cerca spesso di chiudere un occhio, pur di non rompere certi equilibri. Certi tradimenti ad esempio, sono sotto gli occhi di tutti, ma si preferisce fingere per non aprire scandali e per non far parlare gli altri. La buona reputazione è quella che più conta, sia tra le mura di casa che per le strade del quartiere, specialmente in occasione delle festività religiose che riproducono con precisione le atmosfere paesane.

Ghirlande e lampadine elettriche bianche, rosse e verdi vennero appese lungo la Central Avenue per la magnifica festa di San Rocco. Archi illuminati sostenuti da fili metallici tesi su pali da un marciapiede all’altro. I venditori ambulanti erano venuti dalla Mulberry Street di New York e avevano rizzato bancarelle riparate da tende multicolori e rischiarate da lanterne. A fianco della chiesa e davanti al cimitero di San Rocco avevano eretto il palco per la banda, che aveva la forma d’un barcone da pesca col nome di Vasti sulla prua, decorati cib reti di nastro e con il gran pavese multicolore. La statua di gesso di San Rocco era stata ridipinta a colori vivaci (…) San Rocco ci regalò per la sya festa una calda giornata di sole. Le donne erano uscite presto con le capaci sporte e avevano invaso, chiacchierando e tirando sui prezzi, la latteria, la pasticceria, il mercato della carne e la bottega del fruttivendolo (…). La sera i paesani percorsero e ripercorsero instancabili il tratto di strada in cui si svolgeva la fiera, salutando parenti e amici, mettendo in mostra le figlie da marito, assaporando la fragranza della pizza calda fatta con la mozzarella o con le acciughe, o coi funghi, gustandosi un succolento sanguinaccio o sgranocchiando ceci arrostiti nella sabbia rovente e caldarroste,o assaporando gelati e spumoni e fette di torta grosse così, rosicchiando dolciumi o anguria ghiacciata o fumanti pannocchie di granoturco, masticando nocciole infilate a collana.

Resistere pur di non sconvolgere gli equilibri è davvero la strada giusta? Probabilmente crescendo, Paolino capirà che quello non è l’itinerario da percorrere. Assisterà coi suoi occhi ad episodi segnanti che gli riveleranno esattamente il contrario e lo farà con più attenzione perché ora, invece di vagabondare per il quartiere, ha qualche anno e qualche responsabilità in più. Tra superstizioni, lutti e piccole grandi tragedie familiari, Tre cerchi di luce ha il pregio di restituire una lucidissima analisi sulle condizioni di miseria e umiliazione subite in America dalle classi sociali più fragili e in particolare dagli immigrati. Il romanzo ,dall’inizio alla fine, fa luce con grande dignità sulla crescita della coscienza sociale del protagonista, attraverso il quale rivive lo scrittore stesso. Con un linguaggio asciutto, pregno di oralità e, in alcuni punti, anche di una potente tensione lirica, Di Donato manifesta senza veli le istanze più urgenti delle fasce più deboli, e mostra che la forza della sua scrittura non sta in alcuna velleità letteraria tout court ma in una sorta di “missione”, un’esigenza implacabile di dire, di testimoniare, di far conoscere, di denunciare. Narrazioni veritiere e senza filtri si uniscono a una vivida onestà intellettuale che senza dubbio Di Donato pagò care, fino alla fine della sua vita, ma che furono nel contempo la sua grande forza, le luci pulsanti di un pensiero per sempre libero, incontaminato, mai corrotto.

(L’illustrazione di copertina è di GIULIA POLIDORO)

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