di VALENTINA DI CESARE
Claudia Pessarelli è insegnante di lingua e cultura italiana all’Università del Wisconsin. Nel 2013 ha iniziato a scrivere della sua esperienza americana sul blog, tuttora attivo e molto seguito, “Un’alessandrina in America“.
Dal Piemonte al Wisconsin: quando e perché? Paure, entusiasmi, nostalgie…
La mia esperienza di espatriata inizio` per caso nel 1994, quando l’azienda per cui lavorava, offri` a mio marito di occuparsi dell’ufficio nella sede di Pittsburgh. Da li` al trasferimento l’anno successivo, fu un susseguirsi di decisioni, ma soprattutto di entusiasmo condito da una buona dose di incoscienza e di molti “tanto poi torniamo fra tre anni o prima se non ci piace stare in USA”. Presi l’aspettativa dal mio lavoro di farmacista e partii al seguito. I primi mesi furono difficili e solitari perche` il mio inglese era molto basilare e io e mio marito fummo immersi subito in un ambiente totalmente americano, infatti nella sede americana erano proprio in pochi a parlare italiano. Ma, come ho scritto prima, l’incoscienza e l’entusiasmo mi hanno fatto prendere gli ostacoli e le difficolta` con molta allegria anche perche` dopo un mese dal nostro arrivo in USA, scoprii di essere incinta. Erano anni che volevamo un figlio e non arrivava: questa novita` cambio` tutto e quando offrirono a mio marito di rimanere in USA oltre i tre anni decidemmo insieme che volevamo restare e la nostra vita era qui e ancora per un po’ almeno…che c’era ancora tempo per tornare, anche se a quel punto io avrei dovuto ricominciare con un nuovo lavoro, visto che mi ero licenziata dopo la fine dell’anno di aspettativa. Certo, con una bambina piccola, la nostalgia era di essere lontani dalle nostre famiglie e privarla della presenza quotidiana e dell’affetto dei nonni, ma siamo stati fortunati perche` abbiamo avuto negli anni degli splendidi nonni “volanti” che venivano a trovarci ed io, per il fatto che non ho lavorato fino a che mia figlia non e` andata a scuola, ho potuto trascorrere lunghi periodi in Italia, dove avevamo ancora casa. Il Wisconsin fu in un secondo tempo, quattro anni dopo.
L’idea del blog: dai primi post al rapporto ormai abbastanza consolidato con i tuoi lettori…Cos’è cambiato e cosa è rimasto uguale?
Il blog e` nato dagli articoli che ho scritto per un certo periodo per un quotidiano online della mia citta`, Alessandria, ed e` evoluto e si e` sviluppato seguendo le curiosita` dei lettori e soprattutto per le mie scoperte quotidiane nel crescere una figlia in un sistema scolastico differente da quello che avevo sperimentato io, con amici e abitudini differenti. Intanto scrivevo post sulla vita quotidiana, sulle abitudini di vita. Quando ho iniziato ad insegnare all’universita`, mi sono trovata in un ambiente completamente differente da quello che avevo sperimentato io in italia e ancora di piu` quando mia figlia ci e` andata: insomma il blog e’ diventato un diario di vita che mi ha dato tanto e che continua ad essere letto ogni giorno anche se ultimamente e` diventato sempre piu` difficile trovare argomenti nuovi…perche` mi sembra di aver gia` detto tutto e con un mondo che evolve e cambia sempre piu` velocemente anche le informazioni che ho scritto negli anni sembrano datate. Certo se penso ai molti post che scrivevo ai tempi d’oro e ai pochi che scrivo ora mi dispiaccio, ma meno persone leggono i blog, a meno che non cerchino informazioni specifiche. In compenso ho un rapporto quasi quotidiano con i lettori e dati in crescita costante per la mia pagina Facebook perche` scrivere post brevi per una pagina FB e` meno impegnativo che non scrivere per il blog. Il blog e` il mio “libro”, la pagina e` il mio “quaderno di appunti”. Cio` che e` rimasto uguale nel mio modo di scrivere e` che sono sempre io, sono sincera e quello che scrivo e` quello che penso e credo che questo sia un mio punto di forza oltre agli argomenti che tratto. I miei lettori poi sono fantastici: li definisco la mia famiglia allargata. Interagiscono sempre in modo educato e nella pagina si respira sempre un tono rilassato e aperto alle idee altrui, anche quando dissentiamo e questo e` un altro punto di forza di questa comunita` di “sconosciuti” che ormai sconosciuti non sono piu`. Il bello e` che quando qualcuno entra sulla pagina e rimane, nota queste cose e a me non puo` che fare immenso piacere.
Da farmacista in Italia a docente di lingua e cultura italiana all’Università: quali suggestioni attraggono gli americani verso il nostro paese?
L’insegnamento delle lingue straniere negli Stati Uniti non è molto comune. Non è neanche obbligatorio in molti stati fare corsi a scuola e avere un’infarinatura almeno di Spagnolo, che pure servirebbe tanto, visto che in molte zone degli Stati Uniti viene parlato come prima lingua ed in ogni città è presente, ed in forza, la comunità latina. Molte delle università più competitive richiedono invece almeno due anni di lingua straniera per accettare uno studente, ma anche lì lo spagnolo la fa giustamente da padrone. Chi sceglie di imparare l’italiano all’università lo fa essenzialmente per due motivi ( chiedo sempre agli studenti per rompere il ghiaccio il primo giorno:”perchè siete qui?”):o sono di famiglie di origine italiana e vogliono riappropriarsi delle loro tradizioni- è un discorso molto lungo da fare di come per generazioni, dopo i grandi flussi migratori di inizio secolo scorso e il fascismo- parlare italiano non fosse così ben visto e per integrarsi la prima cosa che era sparita dalle famiglie era la lingua- oppure sono stufi di studiare spagnolo e vogliono provare qualcos’altro e fare poca fatica…illusi! Gli adulti invece che prendono lezione di italiano lo fanno perchè vogliono viaggiare e sono curiosi, vogliono provare a vivere la “dolce vita” e hanno questa idea romanzata dell’Italia che i film americani e anche gli show televisivi continuano a dare. Le domande di chi in Italia non e` mai andato variano dal “vivete tutti in ville antiche” all’ “avete le autostrade e le strade asfaltate?” ( giuro, me l’hanno chiesto davvero). Chi invece in Italia ci è già andato, torna con il desiderio di voler viaggiare ancora per la cucina, la bellezza delle nostre citta`, l’arte e noi italiani che veniamo adorati per come ci vestiamo, ci curiamo e come viviamo.
L’Italia e gli Stati Uniti, la provincia dalla quale proviene e la sua attuale casa. Cosa salvare e cosa migliorare di ambedue i luoghi? E cosa le manca quando è lontana da uno dei due?
La mia citta` italiana e` parte di me, non me la scrollo di dosso e neanche lo desidero. Non rinnego la mie origini e la mia pagina lo dimostra: in essa tantissime volte faccio paragoni e mi lancio in suggerimenti su cosa migliorerei, visto che un po’ più distaccata posso esserlo, vivendoci solo pochi mesi all’anno. Ne vedo i difetti e ne elogio i pregi, e da qualche mese mi segue pure il sindaco: che onore!Di Alessandria mi mancano tante cose: le sue dimensioni umane, le facce conosciute, la facilità a vedere gli amici e a ritrovarsi senza troppi calendari da consultare. Mi manca il poter camminare dappertutto e in un’ora essere al mare o in montagna, arrivare a Milano, Torino, Genova per vedere mostre o visitare la città, ma in poche ore poter pensare di arrivare dappertutto e farlo!Non mi manca il pessimismo e il trovare sempre qualcosa che non va dei suoi abitanti, senza però essere propositivi. C’è sempre un “ma” o un “no”. La città è oggettivamente peggiorata molto da quando ci vivevo, ma forse dopo aver toccato il fondo ora non puo` che risalire e lo spero davvero. Negli Stati Uniti la mia vita è agiata e di essa ne apprezzo la liberta`, i grandi spazi, la pulizia e l’ordine. Apprezzo i sorrisi e la gentilezza della gente e questo puo` forse stupire chi legge le notizie dei giornali su sparatorie e violenza. La vita negli USA viaggia su diversi binari: su uno c’è la vita tranquilla e sicura di chi vive nei sobborghi, i sorrisi della gente, le porte aperte, le infrastrutture che funzionano, le ottime scuole ed i giardini curati; sull’altro c’è la violenza dei quartieri poveri, le armi senza regolamentazioni strette, i deserti alimentari e le scuole che non hanno fondi e dove l’educazione non ha una qualità sufficiente per aiutare gli abitanti delle zone povere ad uscire dal circolo vizioso tramite appunto l’educazione…un cane che si morde la coda!)
Sua figlia, di cui spesso parla nel suo blog, è un’americana di origini italiane. Qual è il suo rapporto con l’Italia?
Mia figlia e`nata e cresciuta bilingue e a contatto con entrambe le culture: è cittadina americana e italiana. Ora è orgogliosa di essere italiana, credo invece che abbia avuto qualche anno di confusione durante l’adolescenza, in cui si sentiva diversa: i suoi genitori parlavano con un accento strano agli occhi degli amichetti americani, la portavamo in Italia in estate e secondo lei in questo modo si perdeva le estati qui in USA. In realtà, ora che è adulta, si ricorda con nostalgia i mesi in estate quando al mare aveva la compagnia di amici, i mesi in cui frequentava la scuola in Italia d’accordo con la scuola elementare americana. E` contenta di aver studiato l’arte e la cultura italiana ed europea all’università e, non meno importante, di saper mangiare e cucinare sano e bene!
Le è capitato in questi anni di entrare in contatto con le comunità italoamericane o con qualche americano di origini italiane (magari di seconda, terza generazione?) Quali sono state le sue esperienze?
Sono state esperienze molto variegate. Da un lato ci sono gli italoamericani mai tornati in Italia, quelli che non sanno assolutamente niente dell’Italia attuale e a cui purtroppo non interessa saperlo. Sono legati all’idea di un’Italia che non esiste e forse non è mai esistita perchè quello che loro pensano siano state l’Italia e le tradizioni che a loro sono state tramandate, sono in realtà un miscuglio di tradizioni legate ai primi immigrati in USA. Non sono interessati nè allo sviluppo della cultura italiana attuale su suolo americano nè a conoscerne la lingua. Dall’altra ci sono gli italo americani che sono riusciti a tornare in Italia e se ne sono innamorati, si sono riappropriati delle loro origini, ritrovando parenti lontani, viaggiano oppure anche se non riescono a viaggiare, sono curiosi di sapere: partecipano agli eventi culturali e vogliono dare una rappresentazione attuale dell’Italia anche a chi italiano non è. Ho amici del secondo gruppo, ci vogliamo bene e abbiamo discussioni molto interessanti. Con quelli del primo gruppo non c’è nulla in comune purtroppo. Ci ho provato, ma non sono riuscita a svecchiare le loro idee.
In copertina: illustrazione di GIULIA POLIDORO