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La diaspora translinguistica di Emanuel Carnevali in “The Autobiography of a Language” di Andrea Ciribuco

di FRANCESCO CHIANESE

Una delle più belle descrizioni dell’odissea di Emanuel Carnevali è quella fornita da Andrea Ciribuco in The Autobiography of a Language: Emanuel Carnevali’s Italian/American Writing (SUNY Press, 2019), che lo ritrae nei panni dell’emigrante che ritorna ed è condannato a un doppio esilio, non sentendosi di appartenere completamente a nessuna delle due culture in cui ha vissuto. Si tratta di una sensazione familiare a molti italiani rientrati in patria, ma più in generale esprime la percezione di una dislocazione che riguarda chiunque decida di ristabilirsi nella propria nazione per scoprire di non sentirsi più a proprio agio nelle abitudini che ritrova intorno a sé. Molti anni fa, Antonio Tabucchi per esempio , aveva introdotto una celebre antologia dedicata a Fernando Pessoa con una riflessione analoga sull’origine del senso di irrequietudine descritto dall’autore portoghese. A sua volta figura sospesa per tutta la vita tra Pisa e Lisbona, Tabucchi intitolava la sua raccolta in due volumi Una sola moltitudine cogliendo un concetto che possiamo far risalire all’indietro fino a Dante, collegando l’origine della letteratura italiana alla descrizione di un esodo che spesso non si riconcilia con il punto di partenza. Come Dante, Carnevali è una figura di esiliato, nato pure lui a Firenze senza mai ritornarvi, e come Pessoa ha provato a racchiudere le sue moltitudini nella scrittura per ritrovarne il senso e darvi un ordine, senza riuscirvi. La sua produzione in poesia e prosa e il suo rapporto con l’italiano e con l’inglese sono la testimonianza scritta di questo disagio. La differenza più evidente di Carnevali rispetto a questi due nomi indelebili della letteratura mondiale è invece nell’aver riconosciuto la sua casa non nel luogo d’origine ma in New York, a un intero oceano di distanza.

La metropoli americana è stata produttrice di un immaginario che molte voci italoamericane hanno provato a descrivere sovrapponendo la lingua inglese a quella italiana: su tutti, quella del poeta Joseph Tusiani, che ci ha lasciato piuttosto recentemente, oltre a quella più vicina cronologicamente e all’esperienza di vita di Carnevali di Pietro di Donato, che pubblicherà il suo Christ in Concrete (1939) pochi anni prima della morte di questo autore alternativamente maltrattato o dimenticato. Basandosi sullo specifico contesto delle scelte linguistiche dell’autore, il libro di Ciribuco, unica e sola monografia su Carnevali disponibile a oggi, si dimostra come uno di quei volumi che partendo da un esempio apparentemente laterale potrebbero ridisegnare l’assetto di un intero ambito di studi. Nello studio di Ciribuco, infatti, l’esempio di una voce poetica di origine italiana di lingua inglese, la cui eredità non è sempre adeguatamente riconosciuta, diventa esemplificativo di una affascinante nuova direzione di ricerca per l’analisi dell’esperienza italoamericana nella sua molteplicità più resistente a lasciarsi assorbire in una visione schematica del delle sue manifestazioni culturali, in un contesto più esteso e transnazionale della diaspora italiana, che si presti a contenere tutte le migrazioni riguardanti il nostro paese, secondo la definizione più accreditata che ne ha dato Donna Gabaccia.

Il saggio di Ciribuco è innanzitutto un libro bello da leggere nella sua complessità, appassionante quanto esaustivo nell’esplorare la produzione di Carnevali. Che l’inglese fosse l’idioma scelto per la sua rinascita fuori dal paese incarnato dal padre, da cui l’autore fuggì, o piuttosto un veicolo più adatto alla sua poesia, come il francese per Samuel Beckett e Milan Kundera, secondo Ciribuco questa conversione translinguistica rese Carnevali responsabile di “uno dei primi lavori italoamericani ad essere riconosciuti nei circoli letterari americani” (la traduzione è mia, come le successive, 1). Carnevali fu uno dei primi autori italiani a stabilire “una reputazione di poeta e critico tra gli intellettuali americani” (2). La sua poesia apparve nelle riviste letterarie di più alto profilo del periodo, tra cui Poetry. Ciò gli permise di legarsi personalmente a Max Eastman, a Ezra Pound, a William Carlos Williams, e più significativamente a Robert McAlmon, che divenne suo amico e pubblicò la sua prima raccolta, A Hurried Man, nel 1925. Appreso nel periodo tutto sommato breve trascorso tra New York e Chicago, dal 1914 al 1922, l’inglese rimase la lingua letteraria di Carnevali nel suo ritorno in Italia, attraverso la quale si mantenne in contatto con i suoi amici letterati stranieri.

Oltre alla scelta di dedicarsi in profondità alla lettura critica dell’autore, il libro di Ciribuco colpisce per la capacità di contestualizzare l’esperienza di autore di Carnevali nel quadro transatlantico e nel contesto più ampio della letteratura, definendo contestualmente lo specifico contributo dell’autore alla rappresentazione culturale della migrazione italiana negli Stati Uniti. Ciribuco conduce la sua analisi indagando il bilinguismo di Carnevali, che egli identifica come un “travagliato passaggio attraverso i confini linguistici e nazionali” (1). Tuttavia, ridurre il sofisticato approccio di Ciribuco a questo aspetto sarebbe una semplificazione. Affrontando l’identità specifica di Carnevali come “translingual writer”, Ciribuco stabilisce una serie innovativa di strumenti critici che problematizzano questioni radicate sotto la superficie dell’analisi letteraria tradizionale e che raramente sono state usate nel contesto della critica letteraria nel campo degli studi italiani o italoamericani. Infatti, la maggior parte degli studi su Carnevali a oggi è stata ispirata dalla necessità di riscoprire l’autore e sottrarre la sua opera da un immeritato oblio. Per la sua specifica natura di outsider che si inserisce con disagio sia nella tradizione letteraria italiana che in quella americana, Carnevali è stato raramente incluso tra i nomi riconosciuti nei primi tentativi di costruire un canone di scrittori italoamericani. Tradizionalmente, la critica ha riconosciuto come pionieri nel campo poeti come Pascal D’Angelo e Arturo Giovannitti, o romanzieri come di Donato e John Fante, per motivi assolutamente condivisibili ma che hanno finito per oscurare figure che non si riconoscevano in questi modelli. Nell’interpretazione di Ciribuco, l’impegno di Carnevali a costituirsi come mediatore tra l’esperienza italiana e quella americana lo riconosce piuttosto come un autore a sé stante, caduto nella poco esplorata zona grigia situata dove gli studi italiani e quelli americani si incontrano. La volontà di Carnevali di essere incluso nel modernismo americano, piuttosto che partecipare alla diffusione culturale dell’esperienza etnica portata avanti dai primi autori italoamericani, ha contribuito alla sua esclusione dagli studi sulla rappresentazione letteraria della migrazione italiana.

Come sottolinea Ciribuco, da questa posizione il caso di Carnevali sollecita la necessità di riconsiderare le classificazioni che mirano a identificare modelli ricorrenti nella rappresentazione culturale dei popoli in migrazione, come la definizione postcoloniale del “terzo spazio” di Bhabha (1994) o il modello basato sulla generazione di Werner Sollors per gli studi sull’etnicità negli Stati Uniti (1989; 1998). Analogamente, la scelta di Ciribuco problematizza e decostruisce con successo, in modalità propriamente derridiane, la possibilità di ridurre la rappresentazione culturale polimorfa della cultura italiana transnazionale a un concetto monolitico e nazionalista di italianità. Al contrario, Carnevali contribuisce a definire l’italianità come un’identità instabile e flessibile, in accordo con il quadro più aggiornato degli studi sull’italianistica colti nel loro contesto internazionale (Bond 2014; Tamburri 2017; Fiore 2017; Burdett e Polezzi 2020; Burdett, Polezzi e Spadaro 2020). Inoltre, considerare sia gli aspetti linguistici che quelli culturali dell’esperienza individuale di Carnevali amplia significativamente le possibilità di conoscerlo nel più ampio contesto delle rappresentazioni della migrazione italiana.

In definitiva, la figura di Carnevali come poeta e migrante lo inquadra come un outsider che richiede l’elaborazione di un sistema individuale che permetta di classificarlo come un elemento unico. Troppo italiano per essere affiliato al modernismo americano, troppo attratto dalla lingua inglese per rientrare nel canone italiano, troppo sospeso tra due mondi per essere situato in uno di essi, nell’originale lettura di Ciribuco, Carnevali trova il suo posto nella letteratura tra gli autori che resistono alle definizioni che li raggruppano in schemi standard. Indicando i limiti della lettura degli scritti di Carnevali da una lente puramente letteraria, l’idea perspicace di Ciribuco di combinare l’analisi testuale con gli studi sulla traduzione e i risultati più aggiornati della linguistica e dello studio del bilinguismo e del translinguismo identifica Carnevali come un autentico caso transnazionale che non può essere confinato entro gli stretti confini culturali nazionali. Inoltre, l’attenzione di Ciribuco sulle implicazioni della scrittura translinguistica definisce anche il Modernismo come un movimento culturale che cresce transnazionale al di fuori dei confini assegnati dal canone letterario americano. Da questa posizione, Carnevali è stato in grado di collegare l’Italia e gli Stati Uniti attraverso una letteratura che incarna il modernismo nel suo carattere più profondo e tuttavia lo destabilizza. Su queste premesse, credo che il lavoro di Ciribuco su Carnevali abbia una potente risonanza per i modi in cui guardiamo alla letteratura nella critica contemporanea, ben oltre le intenzioni di Carnevali. Sospeso tra continenti e paesi diversi, il caso di Carnevali si rivela un’anomalia che mina tutti i tentativi di costruire un canone della letteratura italiana, americana o italoamericana che possa essere ridotto a un insieme di modelli, stili e generi riproducibili, invitando alla riconfigurazione degli studi letterari in modo da includere autori che non rientrano in un concetto di cultura definito dai confini nazionali né da quelli della lingua madre da cui sono delimitati. Insomma, un ruolo notevole per un autore che tende ad essere dimenticato sia nella sua patria elettiva, sia in quella biografica.

(In copertina: illustrazione di Massimo Carulli)

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