Interviste

“Volevi trovare Fiorito? Beh, eccolo qui” -Intervista a Mike Fiorito

di VALENTINA DI CESARE

Mike Fiorito è uno scrittore americano di origini italiane. Inoltre è redattore del “Mad Swirl Magazine” e collaboratore fisso di Red Hook Star Revue. I suoi libri sono Call Me Guido , edito da Ovunque Siamo Press , Freud’s Haberdashery Habits e Hallucinating Huxley , ambedue editi da Alien Buddha Press.

Qual è il tuo legame con l’Italia e con le tue origini?

La famiglia di mio padre viene da Sala Consilina, che è a circa un’ora a sud- est di Napoli. La famiglia di mia madre viene dalla Sicilia; non conosciamo la città però. Da entrambe le parti, i miei nonni sono nati negli Stati Uniti. Per questo il nostro legame con l’Italia era praticamente inesistente mentre crescevo. Come molti americani di origine italiane, le nostre connessioni con l’Italia erano distanti e mai dirette. Per esempio, ho sentito i miei nonni siciliani parlare siciliano, ma ho dovuto provare a estirpare frasi e parole dai loro discorsi , alcune delle quali ho avuto cura di segnarmi. Comunque a mia madre nessuno ha insegnato la lingua attivamente, così come a suo fratello o a uno qualsiasi dei nipoti. Mio padre ha creato e costruito il suo legame con l’Italia attraverso canzoni napoletane e poi quando io stavo crescendo parlava spesso di Jimmy Roselli e suonava la sua musica. Ha anche provato a cantarli in dialetto napoletano, riesco ancora a sentire la sua voce se ci penso. In generale, in casa mi capitava spesso di sentirlo suonare soprattutto la musica italiana, come quella di Louis Prima, Sinatra, Lou Monte. Mio padre, più di mia madre, amava tutte le cose italiane. All’epoca lo trovavo fastidioso, ma poi sono arrivato ad apprezzare il suo punto di vista. In molti punti, Call Me Guido parla della riscoperta dell’amore che mio padre aveva per l’Italia, per la sua storia e la sua musica.

Ha mai fatto un viaggio in Italia alla ricerca delle tue radici familiari?

Sono stato in Italia due volte. La prima volta sono andato a Firenze e ho visitato anche le città circostanti. La seconda volta ci sono tornato con mia moglie (in luna di miele!) a Napoli. Da lì abbiamo fatto una spedizione a Sala Consilina. Mio padre era morto da circa 25 anni quando andai nel suo paese di origine per la prima volta. Fu divertente, eppure sembrava un pellegrinaggio nei suoi luoghi. La cosa ironica è che mio padre non è mai stato in Italia in vita sua, ma mi parlava sempre di Sala Consilina. Come tanti italiani provenienti dal sud, abbiamo dovuto ricostruire e immaginare il nostro passato, seppur con molte interruzioni e “buchi neri”. Dopo aver cercato il cognome Fiorito quando ero a Napoli, ho fatto la stessa cosa a Sala Consilina e ho finalmente trovato una traccia della storia della nostra famiglia. Siamo stati in una zona di Napoli vicina all’aeroporto. La zona sembrava Times Square. Nei pressi di una una piazza (dove gli uccelli avevano avevano fatto i lor bisogni), ho visto un grande cartello appeso sulla parte anteriore di un negozio di orologi, che aveva Fiorito scritto sull’insegna a caratteri cubitali. È stato molto emozionante. Era come se l’universo mi stesse dicendo “Volevi trovare Fiorito? Beh, eccolo qui.”

Parli italiano? Lo capisci? Perché sì o perché no?

Il mio italiano parlato non è molto buono. Posso farcela, soprattutto se ho un dizionario. La mia comprensione della lingua scritta è sicuramente migliore. Come accennato, i miei nonni materni parlavano siciliano. All’epoca non capivo che il siciliano era una lingua diversa, che non era l’italiano appunto, ma un dialetto. Ho studiato l’italiano al liceo e al college e ho raggiunto un livello abbastanza sufficiente di competenza scritta e orale. Anche allora non capivo perché la lingua parlata dai miei nonni fosse diversa dall’italiano che avevo imparato a scuola. Inoltre, a New York negli anni ’70 e ’80, la maggior parte degli italiani che incontravo proveniva dal Sud Italia. Molte delle persone che ho conosciuto, o che ho incontrato, parlavano nel loro dialetto. Ho avuto poche occasioni di praticare parlare e sviluppare la mia competenza linguistica. Era molto frustrante e, come ho già detto prima, io ero confuso. . Detto questo, se avessi riflettuto di più , avrei dovuto cercare gruppi di lingua italiana con i quali incontrarmi per parlare. Ma quando avevo vent’anni mi interessavano altre cose, quindi non ho dedicato tempo alla mia lingua di origine.

Qual è stata l’ispirazione per scrivere “Call me Guido”?

L’ispirazione per scrivere Call Me Guido è arrivata dall’insieme di tante istanze. Una era quella di affrontare la vergogna e gli stereotipi che avevo sperimentato (e altri prima di me) come italo-americano. Sono ancora stupito di come alcune persone (che si considerano) di mentalità “liberale” poi si sentano liberi di dirmi cose offensive sulle mie origini siciliane o napoletane, prima ancora di sapere come potrei reagire. Mi interessa questo fenomeno come ambito di ricerca e di studio.  Perché veniamo discriminati? In America, il termine Guido è sprezzante (anche se mi è stato detto da alcuni non italiani che non lo è). La mia intenzione in “Call me Guido” è stata quella di rivendicare la grandezza del nome Guido. La storia parte dalla musica napoletana e si snoda attraverso i cantanti come Sinatra, Roselli e Bennett, e poi ancora attraverso i grandi liutai italiani di New York. Cerco anche di restituire la dignità al nome a Guido, ad esempio attraverso Guido Cavalcanti (il grande poeta amico di Dante) e Guido D’Arezzo (considerato l’ideatore della notazione musicale moderna ).

Quando scrivi qual è il ruolo delle ambientazioni legate all’Italia?

“Call me Guido” ha parti che si svolgono in Italia. Lì descrivo e parlo della mia visita a Napoli e Sala Consilina. Inoltre, scrivo spesso di argomenti italiani. Ho una rubrica sulla rivista online Ovunque Siamo chiamata Guido’s Corner. Questa rubrica si concentra principalmente su tematiche italiane, dalla storia alla musica , fino al cibo italiano e altro ancora. Ho messo insieme un bel po’ di articoli con questa rubrica e mi occuperò di questi argomenti anche su altre riviste.

Cosa significa per te avere origini italiane?

Scrivo spesso di come le tracce della cultura del Sud Italia siano rimaste nella nostra famiglia – anche nelle generazioni dopo. Per esempio, siamo ferocemente leali gli uni con gli altri. Siamo appassionati. Litighiamo. Parliamo con le mani. Amiamo intensamente. Usiamo parole gergali italiane, a volte per insultarci a vicenda. Siamo intrinsecamente musicali. E sappiamo ballare.

Pensi che ci sia ancora uno stereotipo sugli italoamericani?

Purtroppo, gli stereotipi sugli italoamericani persistono. Tutto quello che devi fare è accendere la TV o andare a vedere un film. Sono interessato agli stereotipi. Esploro i tropi mafiosi nei miei scritti. Sono un pezzo fondamentale della nostra storia, specialmente in questo paese. Ma come italo-americano ho bisogno di più di una ricerca per esprimere la mia identità. Alcuni stereotipi italoamericani si sono radicati nella nostra incredibile diaspora, ad esempio quello che vede gli italiani provenienti dal Mezzogiorno come dei “morti di fame”, completamente abbandonati a se stessi dopo l’unità del paese. Oppure si dice sempre che molti di noi siano venuti in questo paese ignoranti e analfabeti (più che in altri paesi d’Europa). Quello che trovo interessante è il modo in cui gli italoamericani vengono additati. Perché la nostra storia non è raccontata? Perché è ancora concesso dire qualcosa di offensivo agli italoamericani in una occasione pubblica? La cosa dovrebbe farci ridere. È un fenomeno molto insolito. Cito spesso l’esempio di quando io e mia moglie abbiamo incontrato un amico che lavorava per MTV e si occupava di linguaggio da censurare. Non avevo mai visto nessuno dei reality show su MTV. Ero curioso di sapere che tipo di linguaggio razziale fosse permesso nello show. Ha detto che l’unico insulto razziale che è stato consentito è stato l’uso del termine Guido. Ho chiesto “ti va bene?” Non sembrava che per lui ci fosse qualcosa di male in questo. In un’altra occasione, stavo parlando con alcuni amici che politicamente schierati a sinistra e in modo piuttosto convinto. Quando ho citato il titolo del libro, ovvero Call Me Guido, uno di loro ha detto “Sono sicuro che alcuni italoamericani, almeno quelli più sensibili, saranno sconvolti da questo titolo. Ho risposto: “Spero che tutti ne saranno sconvolti.” Francamente, penso che sia estremamente importante nonchè vitale che ognuno di noi si impegni a imparare di più sulle rispettive culture e storie altrui. Concentrarsi esclusivamente sulla propria eredità è un vicolo cieco; piuttosto, a mio parere, la propria storia e la propria cultura di famiglia dovrebbe servire da apertura , da molla verso le storie di altre persone. Quando saremo arrivati tutti stesso punto, forse potremo andare avanti.

(In copertina: illustrazione di Massimo Carulli)

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