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‘Abruzzo a stelle e strisce’, l’emigrazione va a teatro: intervista a Camillo Chiarieri

di VALENTINA DI CESARE

Oh, the weather outside is frightful
But the fire is so delightful
And since we’ve no place to go
Let it snow, let it snow, let it snow

Ora che il Natale è alle porte, è raro che non capiti di ascoltare questa canzone: dagli altoparlanti di un centro commerciale alle pubblicità televisive, dai locali illuminati a festa fino agli addobbi natalizi sonori, la voce suadente di Dean Martin giunge ovunque e a chiunque, trascinandosi dietro la magia della festa più attesa dell’anno. Eppure nelle vene dell’americanissimo showman Dino Paul Crocetti nato a Steubenville, in Ohio, scorre sangue italiano: abruzzese da parte paterna e campano da parte materna. L’elenco di personalità note negli Stati Uniti e nel mondo con origini italiane non è affatto breve, ma a molti ricordarlo sembra un vanto sciocco e datato. Inoltre, ironia del caso, la memoria appare più labile specialmente laddove il fenomeno migratorio di massa ha interessato un numero più cospicuo di persone: regioni svuotatesi nel giro di pochi anni, paesi abbandonati, case sbarrate da cent’anni, terreni incolti, infestati col tempo da boscaglie selvagge. Lo spettacolo ” Abruzzo a stelle e strisce”, alternando momenti di narrazione a intermezzi musicali, ripercorre le storie degli uomini e delle donne che hanno lasciato le loro terre, ricostruendo le proprie esistenze al di là dell’oceano, foriere di destini importanti, nuovi, luminosi. Dean Martin, Rocky Marciano, Henry Mancini, Garry e Penny Marshall, Perry Como, Madonna e molti altri attori, cantanti e atleti statunitensi, diventate icone globali del XX secolo hanno in comune origini abruzzesi. Personaggi leggendari che, se guardiamo bene in viso, ci pare di conoscere: tolta la glitterata patina del mito i loro sguardi, i loro lineamenti, sono simili ai nostri, portano l’imprinting della nostra stessa terra – così c’ è scritto sul Comunicato Stampa che annuncia lo spettacolo, nato dall’idea originale dello scrittore e storico dell’arte Camillo Chiarieri e del musicista jazz Walter Gaeta, ai quali si è poi unita la cantante jazz Ada Flocco. Per l’occasione ho incontrato uno degli autori, Camillo Chiarieri.

Come nasce l’idea di questo spettacolo?

Lo spettacolo nasce da un’idea mia e di Walter Gaeta, grande musicista jazz, una vera eccellenza d’Abruzzo. Ci siamo trovati a chiacchierare per gioco su quanta parte dell’immaginario collettivo americano – e quindi mondiale – del Novecento legato al cinema, alla musica, allo sport e alla televisione avesse a che fare con l’Abruzzo. A fine serata la prospettiva si era paradossalmente rovesciata: ma riusciamo a trovare qualcosa che non abbia a che fare con l’Abruzzo? Effettivamente sembra che ogni grande film, telefilm, sport, musica statunitense abbia legami con emigranti provenienti dalla nostra regione… L’Abruzzo ha dato moltissimo alla cultura pop mondiale e per noi saperlo è particolarmente importante, perché ci pone al centro di un mondo che abbiamo sempre avuto come riferimento ma al quale pensiamo di essere estranei. Mi spiego: se il Camillo ragazzino degli anni ’70, che sognava gli Stati Uniti ma si sentiva completamente estraneo a essi perché percepiva di appartenere a una regione meno importante di altre, della quale non si parlava mai e perciò ritenuta lontanissima dallo scintillio americano, avesse saputo determinate cose, conosciuto queste storie, la mia vita sarebbe stata probabilmente diversa… Sarei stato più orgoglioso, mi sarei sentito io stesso più protagonista, avrei probabilmente affrontato determinate vicende della mia vita con un piglio più sicuro.

Così è nato il progetto di questo spettacolo, per dare consapevolezza agli abruzzesi di quello che hanno saputo dare quando sono stati messi in grado di esprimere al meglio le loro potenzialità, di mettere a frutto i loro talenti. Ogni abruzzese può raccontare storie di emigrazione: solo io, per esempio, guardando i miei bisnonni e i fratelli e le sorelle dei miei nonni, posso raccontarti di Stati Uniti, Canada, Australia, Venezuela, Brasile… Tantissimi!!!

Ma questo spettacolo nasce anche con l’intento di celebrare le persone emigrate, fugge completamente la consuetudine del raccontare queste vicende umane con la malinconia, la tristezza, la disperazione delle partenze con la valigia di cartone. Anche perché – diciamocelo francamente – questi sentimenti sono forse più di chi è rimasto che di chi è partito. Chi è partito ha avuto certamente più opportunità di realizzare i propri sogni rispetto a chi è rimasto, ha avuto vite belle, piene di soddisfazioni professionali, economiche e umane ed è vero che la sorella di mia nonna piangeva ogni volta che ripartiva per Montreal, ma è anche vero che raccontava di un mondo che a noi qui in Italia, nel 1975, pareva fantastico, meraviglioso, e dopo un po’ comunque lei voleva tornare a casa sua, in Canada.

Noi abruzzesi rimasti in Abruzzo abbiamo la necessità di capire cosa è successo agli emigranti una volta arrivati… Ci sono stati sacrifici, è vero, ma noi con questo spettacolo raccontiamo quanto quei sacrifici siano stati ripagati con opportunità, diamo l’idea di cosa quegli abruzzesi emigranti abbiano regalato al mondo, rappresentiamo cosa essi hanno rappresentato per il mondo. Noi dobbiamo impossessiarci di quelle storie, usarle per diventare migliori oggi, per prendere esempio.

Come sarà strutturato?

La primissima idea è stata di Walter Gaeta e mia, poi Walter ha coinvolto Ada Flocco, una giovanissima cantante dalla voce calda, jazz, incredibilmente duttile, versatile, espressiva. Immaginerete che il materiale a disposizione era pressoché infinito, quindi abbiamo strutturato lo spettacolo in maniera modulare: dopo una parte introduttiva più o meno sempre uguale lo spettacolo entra nel vivo raccontando due personaggi scelti da una rosa più ampia, dei quali raccontiamo per bene la vita e l’arte. Quindi lo spettacolo in realtà è gli spettacoli, dato che potrebbe capitare di assistere ad Abruzzo a stelle e strisce per due o tre volte e ascoltare sempre storie e canzoni diverse. I personaggi di una particolare serata vengono selezionati a seconda del contesto e del luogo nel quale ci esibiamo.

Dove vi esibirete e a che tipo di pubblico vi rivolgete?

Lo spettacolo è nato nel 2019 e abbiamo fatto diverse date in quella stagione estiva, su diverse piazze d’Abruzzo. Poi è arrivato il Covid e, come tutti, ci siamo fermati. Ora riprendiamo il 5 gennaio alle 21.00 in quel gioiello che è il Teatro Comunale di Atessa (Chieti) e il 16 gennaio alle 17.00 nel Teatro Cordova di Pescara. Non avevamo mai fatto lo spettacolo a Pescara, la mia città e la città più grande d’Abruzzo, perciò siamo molto contenti ed emozionati.

Lo spettacolo è davvero trans generazionale: è sempre finita che tutti si mettono a cantare insieme e si commuovono a quelle storie davvero belle. Ricordo le nonne che ci abbracciavano felici perché avevamo fatto ricordare loro la gioventù più bella e le nipoti con gli occhi luminosi, perché mai avrebbero immaginato che simili personaggi, film e canzoni fossero legati a filo doppio con l’Abruzzo. Il ritmo è veloce, rutilante, colorato… Diciamo che raccontiamo storie antiche ma in modo moderno e questo rende lo spettacolo adatto a tutte le età.

Poi vi confido il nostro sogno più grande: fare questo spettacolo per le comunità abruzzesi nel mondo. Credo che per loro sarebbe un regalo stupendo, perché Abruzzo a stelle e strisce celebra in maniera finalmente positiva la loro splendida epopea.

Quali sono i personaggi che andrete a raccontare al pubblico e perché li avete scelti?

Mi chiedi di svelare cose che potrebbero rovinare lo spettacolo ma qualcosa è già anticipato nel comunicato stampa… Posso dirti che Abruzzo a stelle e strisce è pensato come una sorpresa continua. Tieni presente che quando iniziamo a raccontare dei due personaggi protagonisti della serata noi non li presentiamo: la nave parte, da Genova o da Napoli, e poi pian piano si arriva all’identità, prima intuita dal pubblico e poi rivelata da noi… Ed è bellissimo percepire lo stupore degli spettatori mentre la narrazione va avanti, man mano che canzoni e film che appartengono all’immaginario collettivo mondiale rivelano – per così dire – la loro “abruzzesità”. Per dare solo qualche indizio e dire che l’Abruzzo è davvero ovunque, da La Famiglia Addams fino a tanti, tanti premi Oscar… E che il più celebre telefilm della storia della televisione mondiale racconta in realtà di gente d’Abruzzo…

Che tipo di consapevolezza credi ci sia nella nostra regione rispetto al nostro passato migratorio? Perché secondo te il nostro paese non riesce ancora a fare i conti con il fenomeno dell’emigrazione? 

Poca consapevolezza, al momento molto poca… Ma come ti dicevo prima credo sia per un errore prospettico.

Pensa che le comunità abruzzesi nel mondo sono tantissime, tutte tenacemente e orgogliosamente legate alla loro terra d’origine, probabilmente più autentiche loro che molti abruzzesi di oggi. Penso al senso dell’ospitalità, della condivisione, della fratellanza. E ho conosciuto molti ragazzi emigrati di quarta generazione, mai stati in Abruzzo, che affollano corsi d’italiano e di cucina italiana, sognando la regione leggendaria raccontata con amore dai bisnonni… Ora pensa agli abruzzesi d’Abruzzo, che non conoscono questa parte della storia, la parte finale. Per esempio non hanno idea di quanto siano divertenti e piene di splendide persone le feste abruzzesi di Philly, ma si fermano al racconto del nonno che vide partire la disperata zia che cercava di sfuggire a una vita di miseria.

Da questa parte dell’Oceano manca il racconto del lieto fine che poi c’è stato, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, per questo secondo me c’è una parziale rimozione del fenomeno migratorio dalla nostra memoria collettiva regionale… Sono storie tristi che i vecchi rimasti raccontavano ammantandole di disperazione e i giovani proprio per questo non vogliono ricordarle… I giovani americani conoscono invece le storie di una terra d’origine che aveva forgiato i loro bisnonni al lavoro, al sacrificio e all’onestà, valori originari preziosi e perfettamente aderenti con l’american way of life, messi a frutto negli USA per ottenere una vita nuova in un mondo nuovo.

Beh… Raccontata così è tutta un’altra storia.

In copertina: fotografia di Rawpixel

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