Interviste

Scrivere è un atto di sopravvivenza: conversando con Gianna Patriarca

di MICHELA VALMORI

Gianna Patriarca è una scrittrice italo-canadese che con il suo “Italian Women and Other Tragedies”, racconta i viaggi fisici ed emotivi di donne immigrate. Come conferma Tamburri, “Patriarca riesce a raccontare l’aspetto di genere della sua esistenza di migrante italo-canadese”, accompagnando il lettore nei suoi viaggi da Frosinone, in Italia, all’Ontario, in Canada. Come si evince dai suoi racconti, poesie e prose, le donne erano cittadine di seconda classe in questo mondo patriarcale e biculturale italo-canadese.

Nata a Ceprano, in provincia di Frosinone, nel Lazio, Gianna Patriarca è emigrata in Canada da bambina nel 1960. Oggi è un’autrice acclamata, con all’attivo tredici libri che spaziano tra i vari generi di poesia, fiction e letteratura libro per bambini, tutti premiati e riconosciuti.

Circa un mese fa, mentre lavoravo alla mia ricerca, che comprende l’eredità letteraria di genere e l’emigrazione italiana e che ora si sta estendendo al Canada come punto di arrivo, ho deciso di rivolgermi a Gianna. Non avendo contatti diretti, Facebook mi è parso un canale da sfruttare, dubbiosa però di ricevere una risposta. Con grande stupore, non solo Gianna mi ha risposto in men che non si dica, ma abbiamo avuto una conversazione arricchente che ha portato poi, un paio di giorni dopo, a questa interessante intervista.

Cosa l’ha portata in Canada? E cosa l’ha spinta a concentrarsi principalmente sulle donne italiane immigrate?

Quando ho iniziato a scrivere, ho semplicemente pensato che fosse un atto di sopravvivenza. Erano gli anni Sessanta e il Canada non era il Paese che è ora, certamente non così accogliente come lo è oggi. Avevo nove anni e non avevo scelto di venire in questo Paese; la scelta era stata presa per me, io l’ho subita. Quindi, la mia realtà era scrivere chi ero, ciò che sentivo e ciò che stavo vivendo.

È diventata, credo, una scrittura di donne italiane immigrate, perché è quello che ero, e le esperienze che mi circondavano erano principalmente quelle delle donne immigrate, le madri dei miei amici. Questo è diventato il soggetto del mio lavoro perché è quello che ho vissuto sulla mia pelle.

Lei si concentra anche sul rapporto tra nonne e nipoti. Si tratta di un legame autobiografico che richiama nelle sue storie?

Il rapporto tra Nonni e nipoti è per molti versi autobiografico, perché i miei primi otto anni di vita li ho trascorsi con i miei nonni. Mio Nonno mi ha trasmesso l’amore per la narrazione; era un grande narratore. Nonna mi ha dato tutto il resto e, naturalmente, è stato lo stesso per mia madre, per suo nipote e per tutte le nonne qui in Canada che ho conosciuto e incontrato come insegnanti. Li hanno cresciuti mentre i loro figli e le loro figlie stavano costruendo questo Paese; quindi, i loro figli e le loro figlie sono stati educati.

Le storie sono significative per me perché hanno fatto parte della mia vita. Non solo a livello personale, ma anche nella mia comunità, nella struttura sociale che ho visto intorno a me come immigrato dagli anni ’60 in poi, verso la metà degli anni ’80. Quindi sì, non può non essere in qualche modo autobiografico. Quindi sì, non può non essere in qualche modo autobiografico. Tuttavia, sempre dal punto di vista della narrativa e della società, a volte è difficile spiegare le proprie emozioni per iscritto. Tuttavia, sì, sicuramente è autobiografico in molti modi.

Nel suo “Italian Women”, lei descrive una società di immigrati molto patriarcale. È qualcosa che ha vissuto in prima persona?

Sulla condizione patriarcale ci sarebbe tanto da dire. Come ragazza immigrata cresciuta a Toronto negli anni ’70, avevamo possibilità minime di scelta e voci inesistenti.

Eravamo praticamente controllati e diretti da una società patriarcale, padri, preti, chiesa, politici, ecc. ecc., quindi sì, l’ho vissuta in prima persona, ma non l’ho mai accettata, certamente non senza lottare. La mia scrittura, in un certo senso, è stata un atto di sopravvivenza, l’ho usata come arma e come scudo per tutto ciò che non potevo esprimere nella società, perché nessuno ascoltava e a nessuno importava. Sono riuscita a metterlo per iscritto e questo per me è stato un atto di sopravvivenza attiva; quindi, è un po’ ironico che il mio cognome debba essere Patriarca!

Se potesse invitare la critica culturale ad affrontare la letteratura di genere italo-canadese da una prospettiva diversa e più ampia, quale sarebbe?

Non credo che la letteratura italo-canadese sia stata esplorata in modo esaustivo o presa seriamente in considerazione; certamente, le scrittrici italo-canadesi hanno faticato molto anche solo per vedere pubblicata la loro voce, e non sono sicura che nemmeno l’Italia sia interessata alle nostre storie.

Ricordo che il mio editore mi disse che non avrebbe avuto senso far tradurre i miei libri in italiano perché l’Italia era interessata alla letteratura canadese ma non a quella italo-canadese. Ma, se mi è permesso aggiungere una nota positiva, vive in me sempre la speranza che la letteratura italo-canadese raggiunga prima o poi il pubblico italiano e che il suo valore venga riconosciuto.

In copertina: illustrazione di MASSIMO CARULLI

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