Interviste, Ritratti d'autore

Alla ricerca delle radici più profonde: intervista a Louisa Calio

di ROSA AMATULLI

Poetessa, scrittrice e performer artistica, Louisa Calio nasce negli Stati Uniti. La sua opera possiede “sensibilità verso il multiculturalismo e la diversità etnica, che è spesso assente nella cultura italo-americana” (Stanislao Pugliese), e “profonda passione per la lirica” (Henry Louis Gates, Jr.). Vincitrice di numerosi premi in Italia e negli USA, incluso il, Renaissance Award from Italian Charities of America, nel 2022, ha avuto un forte impatto nel mondo dell’arte. Nel 1987 Barnard College riconosce il suo impegno per l’arte, e nel 2006 la nomina come una “Femminista che ha cambiato l’America.” Tutt’ora Louisa continua ad esplorare e ad esprimere la sua creatività con vari mezzi artistici multimediali, tra i quali, performance, poesia, musica e fotografia. La sua vita personale e la sua arte l’hanno spinta a viaggiare nell’Africa dell’Est e dell’Ovest, in Jamaica (WI), e in Italia, dove ha trovato ispirazioni per le sue creazioni artistiche.

Salve Louisa. A nome di Strade Dorate, vorrei ringraziarla per l’opportunità di conoscerla meglio, in questo incontro via Zoom. Nei suoi scritti Lei spesso si riferisce all’esperienza degli italo-americani in America, ed alle sue radici italiane. Lei, Louisa, si considera americana, o italo-americana?

Grazie a te, Rosa, per questa occasione. Io mi considero entrambe. Nel mio saggio, “My Italian/Sicilian American Soul” (Ameri-Sicula: Sicilian Culture in America) ho scritto su questi aspetti della mia vita, spesso in competizione fra di loro, che sono emerse mentre crescevo come italo-siciliana-americana, negli anni ’50. Ho scritto che la mia anima era italiana, riferendomi alle radici dei miei antenati, presenti nel mio DNA, e appartenenti ad una storia che arriva fino in Africa. Tutto questo si è manifestato in molte maniere: le mie prime attrazioni all’Egitto, al continente africano, alla Grecia, alla Sicilia, e un grande occhio che solitamente disegnavo da piccola. Rimasi sorpresa quando in un viaggio con Arba Sicula, in Sicilia, nel 2013, riconobbi quell’occhio nella Cattedrale di Siracusa. Mi sorprese, anche, il forte legame che trovai tra le performances della mia poesia, e i riti della Madonna Nera di Trapani.

Sono cresciuta a Brooklyn, NY, in una casa di usanze, e tradizioni italiane, e durante la mia adolescenza ci siamo trasferiti a Long Island dove mi sono “americanizzata.” Ho cantato e ballato la musica della mia generazione, che emergeva dalla cultura Afroamericana e condividevo la visione del mondo di poeti come Langston Hughes e Sterling Brown. I pregiudizi, e le difficoltà economiche da loro sofferte negli USA, erano simili a quelli della mia famiglia.

Ho frequentato The State University of New York, ad Albany, dal 1966 al 1969, e mi sono laureata Magna Cum Laude e Special Honors in English. Poi nel 1973 alla Temple University ho conseguito un Master. In questi anni di studio sono stata rapita da un’ondata di idealismi: ho protestato contro la guerra in Vietnam, e per i diritti delle donne e dei gruppi di “minoranza.” A termine degli studi ho lavorato nella parte interna di Albany, con bambini e adulti sfollati.

Qual è il suo rapporto con l’Italia, e la sua cultura?

Io credo, ora, che inconsciamente lo scopo dei miei viaggi in Italia fosse quello di conoscere la terra delle mie radici. Questi viaggi hanno appagato il mio bisogno di toccare e sentire la terra della mia gente, e di conoscere da vicino, le loro opere d’arte, e la loro architettura. Libri di storia, o di arte, ci mostrano immagini di tutto ciò che gli antichi romani, e gli italiani, hanno realizzato, ma non suscitano in noi alcuna emozione. Visitando di persona, invece, il Panteon, il Colosseo, le sculture di bronzo di Bernini nel Vaticano, la Pietà di Michelangelo, ed altre bellezze, è stato commovente.

Il viaggio che ho fatto in Sicilia, dopo la morte di mia madre, nel 2013, mi ha cambiato la vita. Quest’isola, benché ricca di bellezza, storia e architettura, è anche molto complessa. Tutti i paesi che l’hanno invasa, da un lato l’hanno distrutta, dall’altro l’hanno arricchita culturalmente. In giro per la Sicilia, sono rimasta senza parole alla vista di tanta bellezza artistica con cui i Greci, gli Arabi e i Romani, tra gli altri, hanno abbellito Palermo, Agrigento, Trapani, ed altre città siciliane. Grazie all’arte, alle usanze, e alle espressioni culturali che gli invasori hanno lasciato in questa isola, oggi possiamo considerare la Sicilia un vero mosaico multiculturale. Mi sento fortunata di avere radici in un luogo con tanta storia e cultura.

Nonostante i miei studi mi avessero insegnato tanto della cultura antica e classica dell’Italia, ho ritenuto necessario scoprire cosa avesse spinto tanti italiani ad emigrare, e per farlo dovevo studiare più da vicino le condizioni politiche ed economiche del paese. Grazie all’“Italian American Studies Association” (IASA), appresi di una conferenza letteraria a Cleveland, Ohio, dal titolo, “Shades of Black and White: Italy, Africa and the USA.” Il tema sembrava fatto per me, e vi partecipai. Lì conobbi studiosi italiani e italo-americani, e tramite i loro studi, riuscii a capire perché tanti italiani lasciarono il loro paese. Con alcuni di loro si formò un rapporto di amicizia e un vero scambio di idee e conoscenza. La dottoressa Elisabetta Marino dell’Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, ha poi tradotto alcune mie poesie, dall’Inglese all’Italiano, e l’allora dottoranda Cinzia Marongiu ha dedicato parte della sua ricerca alla mia poesia. Il poeta, Nino Provenzano, di Castellammare del Golfo (Trapani), ha tradotto alcune mie poesie in siciliano. Mentre la studiosa, autrice, attivista e professoressa, Lucia Chiavola Birnbaum ed io, nutriamo profondo interessate per le dee antiche e per le “madonne nere” del mondo. Nel tempo il nostro rapporto è diventato un “ponte” che ravvicina la storia e la cultura degli USA, all’Italia e all’Africa.

Cosa l’ha ispirata a scrivere poesia, e, cos’è la poesia per Lei?

Credo che il mio interesse per le parole, la musica e la lettura mi abbiano portata alla poesia. Quando ho scoperto che la poesia mi donava sollievo e conforto, e mi era vicina nei momenti di sconforto e solitudine, ho deciso di iniziare a scrivere dei versi poetici. Ricordo che da ragazza memorizzavo “For Whom the Bell Tolls,” la poesia di John Donne che recita, in parte, “no man is an island,” ovvero, “nessun uomo è isola.” Quella poesia mi è stata molto vicina.

Ho iniziato a scrivere poesie quando ero una ventenne. “Beginnings of the Beat,” una delle mie prime poesie, narra la nascita del poeta in me. Questo componimento, ora nella collezione, In The Eye of Balance, descrive il mio risveglio, o nuovo interesse, verso la poesia.

Per me la poesia è la voce del nostro cuore, e lo strumento che riesce meglio ad esprime la parte più profonda dell’io. La poesia ci permette di vedere, e di esprimere il mondo in maniera più intima, e affettuosa. Una rinomata osservazione di William Wordsworth sulla poesia, recita, “la poesia è il trabocco spontaneo di potenti sentimenti: ha origine dall’emozione raccolta in tranquillità” (Ballate Liriche, 1800). Un poeta fa molta attenzione alle proprie emozioni e cerca di scoprirne le cause. Le emozioni sono creative e profonde, e sono la parte più indifesa di noi.

Potrebbe parlare della sua poesia in generale e, in particolare, di In the Eye of Balance?

Con piacere. I miei componimenti poetici fin ora hanno narrato il mio risveglio ad una consapevolezza di me stessa, come donna, artista e individuo che nutre profondo interesse e amore per le culture straniere. La poesia per me è la ricerca di un amore vero; mi permette di conciliare il maschile col femminile, dentro e fuori di me, e di vincere i miei conflitti interiori, con armonia. Questo percorso è stato fondamentale durante i miei anni di formazione. Iside, l’antica dea egiziana che ha ricongiunto i pezzi rotti del corpo di Osiris, simboleggiava la totalità, o completezza, che io cercavo.

La poesia e le esibizioni multimediali che sono emerse da In The Eye of Balance, narrano il nostro bisogno di vivere in armonia con la nostra natura, e non secondo aspettative altrui. Queste rivelazioni si sono manifestate in versi, in un periodo della mia vita quando mettevo in discussione i ruoli che famiglia e società avevano previsto per me.

Nelle sue poesie Lei spesso si riferisce alla “femminilità.” Cosa intende?

Ho usato questo termine tanto nel senso tradizionale, quanto nel contesto di una nuova femminilità, sorta dopo due mila anni di patriarcato. In passato la femminilità era vista sia come qualcosa di passivo e vulnerabile, sia come forza che emerge dal sacrificio delle donne. La femminilità è stata percepita anche come forma di trasgressione. Basti pensare al racconto biblico, secondo il quale Eva avrebbe indotto Adamo a disubbidire le leggi di Dio, e causato la loro cacciata dal Paradiso terrestre.

Molte donne ancora non riescono a valorizzare e ad esprimere la loro femminilità, altre, invece ora osano esprimere desideri, speranze e sogni, per quei ruoli che prima la società ha sempre negato loro. Dopo due millenni di periodi di caccia alle streghe, torture, repressione, e disuguaglianza, movimenti come, “Women’s Lib,” “MAGO,” “Me Too,” e Femminismo, hanno fatto sì che finalmente le donne potessero liberamente iniziare a dar voce a tutto ciò che secoli di una società maschilista non gli ha mai concesso.

La femminilità è la capacità di sentirsi parte degli altri, a prescindere dal loro gender, dalla loro razza, religione, o condizione sociale. Se tutti ascoltassero alla propria “femminilità,” forse non avremmo guerra e ingiustizia nel mondo. Non ci sentiremmo più minacciati da ciò che consideriamo “altro” perché, come ci insegnano la Chiesa e altre religioni, noi siamo tutti uguali.

Grazie. Una delle sue poesie si intitola, “Black Madonnas,” ovvero, “Madonne Nere.” Chi sono le Madonne Nere?

Venni a conoscenza di Iside, la Madonna Nera originale, collegata a Nubia e l’Egitto, in un periodo della mia vita, quando sentivo il bisogno di “conoscere me stessa” meglio, e di prendere cura di me. Leggendo Il Libro dei Morti di E. A. Budge, appresi della triade egiziana, di Osiride, Iside, e Horus. In un certo senso questa triade è simile alla Trinità Cristiana, ma con una grande differenza. Se nella tradizione Christiana l’Assunzione di Maria al cielo diventa ufficiale nella Cristianità solo negli anni ’50 per decreto papale, secondo Budge, Iside aveva un posto ed una voce sua nel mondo, sin dai tempi dell’antico Egitto. Questa rivelazione maturò in me l’idea che anche io potevo avere una voce e un posto nel mondo. Mi chiedevo se fosse possibile per una donna avere una voce propria, e continuare a prendersi cura di altri, non come martire, ma come persona a pari meriti. La scoperta della Madonna Nera, e gli scritti di Lucia Chiavola Birnbaum, e Mary Beth Moser, e di poetesse come Diana Di Prima e Ntozake Shange, mi hanno aiutata ad esaudire le mie domande e a trovare un modo per reinventarmi.

Nel corso dei miei vent’anni, tanto stava cambiando; anche l’immagine della donna. La nostra progenitrice, Eva, tradizionalmente ritenuta responsabile della cacciata dal Paradiso, veniva ora riscattata. Scrittori e scrittrici cominciavano a scrivere sulle nuove immagini della donna, sostenute dalle dee della saggezza, della guarigione, e della maternità, come Athena e Iside. “Madonne Nere” canta i limiti del passato, e il bisogno di conservare gli aspetti più salienti della femminilità antica, e contemporaneamente di intraprendere ruoli nuovi e più attivi.

Stupendo. Grazie mille. Nei suoi scritti Lei spesso si riferisce al suo incontro con la poesia e le culture africane. Che impatto ha avuto questa esperienza su di lei?

Mi sono sentita attratta all’Africa sin da bambina, quando mi immaginavo una egiziana o una beduina nel deserto, e giocando fingevo di essere una di loro. Una volta ho persino indossato una purdah ad una festa. I saraceni sono stati una forte presenza in Sicilia, tra il settimo e l’undicesimo secolo, e vi hanno lasciato profonde tracce culturali, e forse anche genetiche, in tutta l’isola. In questo senso potremmo dire che i siciliani sono, in parte, saraceni. Io non ho mai fatto un esame DNA, tuttavia ho sempre sentito un forte legame verso quest’aspetto culturale della Sicilia.

Durante i miei studi universitari sono diventata amica di alcuni africani. Alla Yale University ho frequentato alcuni corsi di Robert Farris Thompson, sull’Arte e Religione Africana. Nel 1974 sono andata all’Africa dell’Ovest con “Educators to Africa” —un gruppo di insegnanti che faceva viaggi di studio in Africa, e quell’esperienza rimane tutt’ora uno dei momenti più salienti della mia vita. Il mio viaggio a Sudan, nell’Africa dell’Est, alcuni anni dopo, mi ha permesso di realizzare alcuni miei sogni e visioni del deserto, e di realizzare il mio ultimo libro, Journey to the Heart.

Qual è una poesia che meglio raffigura il suo amore per la poesia, per la condizione delle donne, e per la cultura africana?

Sesso debole

Figura di donna

coi seni scoperti, si piega

forse in veste rossa,

fresca come pietra,

sulla terra bruna

si immerge nel lavoro

un bambino legato sulla schiena,

il volto segnato da tre cicatrici

occhi socchiusi

forse è il sole che li brucia

o forse sogna la sua casa

braccia tese

accoglie il mondo

come vaso di creta.

Traduzione di Elisabetta Marino (Journal of Italian Translation) Ed. Luigi Bonaffini, Volume III, Number 2, Autunno 2008.

Che progetti artistici ha per il futuro?

Attualmente sto completando A Passion for Jamaica, un manoscritto di poesie, saggi, riflessioni e fotografie su Giamaica (WI). Sto anche raccogliendo tutti miei scritti inediti, per organizzarli in un nuovo libro da pubblicare. Vorrei ripubblicare In the Eye of Balance con alcune poesie in più, e idealmente in inglese e italiano. Inoltre, sono in cerca di un agente per il mio manoscritto Lucia Means Light, un romanzo sull’immagine del poeta come mistico italo-americano. La mia collezione di poesie, Brooklyn and Other Migrations, è quasi finita.

Louisa, grazie mille per questo meraviglioso viaggio tra le pagine della sua arte. Riflettendo sui leitmotiv presenti in tutte le sue espressioni artistiche, io penso che oltre a cercare le sue radici più profonde, la sua espressione artistica stia cercando giustizia ed uguaglianza, per le donne e i “diversi” che tutt’ora continuano a subire tanto. Parlare con Lei, e scoprire la sua passione per questi argomenti, è stato un vero piacere.

Grazie a te, Rosa, per il tuo interesse e impegno verso il mio lavoro; e grazie per aver introdotto la mia arte a nuovi lettori.

Puoi leggere l’intervista in inglese cliccando qui

IN COPERTINA: illustrazione di MASSIMO CARULLI

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