Arti

I Cristi lavoratori di Ralph Fasanella

di ILARIA SERRA

Poveri Cristi, emigranti italiani. Sembra un modo di dire, invece è una metafora diffusa nella letteratura e nell’arte italoamericana, almeno per quel che ruota intorno al fondamentale romanzo Christ in Concrete di Pietro Di Donato, uscito negli Stati Uniti nel 1939 e apparso in Italia nel 1957 come Cristo fra i muratori (Mondadori). Tratteremo altrove di questo romanzo, qui invece ci soffermiamo sui quadri del pittore Ralph Fasanella che ne riprendono l’immagine, traducendola in un’iconografia naïf o primitiva in inglese. Naïf non significa minore ma, nel caso di Fasanella, si riferisce alla sua natura di autodidatta e alla sua immediatezza contenutistica. Questi quadri sono finestre aperte nella vita italoamericana della grande città, New York, nel cuore del Novecento, e sono ricche di dettagli da saper leggere.

Feast of San Gennaro (1976) by R. Fasanella

Ralph (Raffaele) Fasanella nasce nel 1914 nel Bronx. Il padre è Joseph, un distributore di ghiaccio (iceman), mestiere scomparso con l’arrivo dei moderni frigoriferi. La madre è Ginevra Spagnoletti, operaia tessile e attivista politica. Entrambi erano nati ad Andria, in Puglia. Quest’origine sociale lo segna per tutta la vita e diventa l’ispirazione per i suoi quadri. A parte il baseball, si sente sempre un emigrante e un operaio. Ralph fa parte di numerosi gruppi di sinistra e sindacati dei lavoratori, si arruola volontario nell’esercito anti-franchista e prende parte alla guerra civile spagnola negli anni Trenta. A metà degli anni Quaranta comincia a dipingere e disegnare, per curarsi dell’artrite che gli colpisce le mani. Naturalmente la definizione di artista gli sta stretta e quasi lo imbarazza ma nella sua vita ha dipinto moltissimo, soprattutto scene di scioperi, di manifestazioni, di fabbriche e ha ritratto pendolari e città affollate.

Ci soffermiamo su alcuni quadri che includono un particolare curioso: il suo Cristo laico, un Cristo personale (ritratto di suo padre) e universale (un operaio come tanti). In diversi dipinti che ritraggono la vita della metropoli e dei suoi cittadini, Fasanella inserisce un crocifisso dove muore un lavoratore. In Iceman Crucified #1 (Distributore di ghiaccio crocifisso) del 1948, siamo all’interno di uno squarcio di grattacielo. La prospettiva si spezza, le proporzioni impazziscono e al piano terra del grattacielo si apre un’enorme portineria. Ai lati scorrono due file di cassette della posta, tutte uguali, tutte anonime, suggerendo il sovraffollamento del palazzo. Anonime sono anche le tendine delle finestre ai piani superiori, di diversi colori ma tutte uguali e tutte oscuranti. Lo spazio dell’entrata è occupato da un enorme crocifisso su cui è appeso un uomo in tenuta da lavoro, con pantaloni marroni, cintura di cuoio e camicia azzurra, la divisa del distributore del ghiaccio. Invece di una corona di spine, le sue tempie sono azzannate dalle tenaglie per prendere il ghiaccio, lo strumento del suo lavoro.

Il lavoro del padre di Ralph era proprio quello di percorrere le strade di New York con il carretto e portare il ghiaccio nelle case. Saliva le scale con i blocchi sulle spalle e li sistemava in modo che occupassero meno spazio possibile e lasciassero posto ai prodotti alimentari dentro le icebox (mobiletti refrigeratori). Questo lavoro si è tradotto in uno stile pittorico: Ralph aveva imparato allora, diceva, a sistemare più soggetti possibili all’interno di una stessa tela. Il lavoro del distributore di ghiaccio è però un lavoro condannato a morte: con l’arrivo dei moderni frigoriferi, negli anni Cinquanta, diventa un lavoro inutile e scompare. La scomparsa è documentata da Iceman Crucified #3. Qui siamo per strada e nell’angolo a destra appare proprio il furgoncino dell’iceman. Al centro del quadro la fine di un mestiere. Il crocifisso con il lavoratore è dentro a un’icebox che viene calata dall’alto e che verrà sostituita da un moderno frigorifero bianco fiammante che aspetta sulla sinistra. Il Cristo poggia su un blocco di ghiaccio stretto in una gigantesca tenaglia. In gesso, sull’asfalto è tracciato, bianco su nero, Joe the iceman is dead. No game today (Joe il distributore di ghiaccio è morto. Oggi non si gioca). I numeri delle strade sono 1887, l’anno di nascita del padre, e 1957, la data del suo ritorno in Italia: la morte del suo sogno americano. In quell’anno il padre lascia moglie, figli e un’America che lo ha masticato e sputato, e se ne torna in Italia, un uomo distrutto.

Nel 1972, Fasanella dipinge Family Supper (Cena di famiglia) in cui la cucina del suo appartamentino (sulla 143esima strada) si espande ed occupa tutto lo spazio di un palazzo, poggiando sul piano terra dove si apre una serie di negozi italoamericani: la bottega di Sam Sasso, la macelleria di Charles Russo, il fruttivendolo, il bar di quartiere. Per strada, nell’angolo a sinistra un carretto del ghiaccio trainato dal cavallo. Il lampione della strada entra a far parte della cucina. Su un secchio contenente il ghiaccio e le tenaglie sta scritto “In memory of my father Joe – poor bastard died broke – and to all Joes who died same – broke” (In memoria di mio padre Joe, povero bastardo che morì squattrinato– e a tutti gli altri Joe che muoiono allo stesso modo – squattrinati). Si noti che “broke” mantiene l’eco di “a pezzi”: tutti quei poveri Joe che vengono spezzati dal lavoro e dall’America. La cucina è piena di oggetti e di ricordi della sua vita quotidiana, tra cui la macchina da cucire. Al centro, una famiglia si stringe intorno al tavolo e in mezzo sta la madre. Su un quadro a destra appare il solito crocifisso con pantaloni marrone e camicia blu, con il capo attanagliato e i piedi sul ghiaccio. Sopra di lui il carretto, sotto di lui l’altare dell’eucarestia.

La religiosità di Fasanella, battezzato nella Chiesa di Mount Carmel, cresciuto cattolico e comunista tra vicini ebrei, ritorna come ineluttabile elemento culturale italoamericano. (Si ascolti la sua intervista nella bibliteca digitale della New York University: https://digitaltamiment.hosting.nyu.edu/s/albafilms/item/2911). In essa, Fasanella ricorda anche l’ipotesi che a un certo punto si affacciava pericolosamente nella mente di ogni italoamericano nella New York degli anni Venti: prenderò la strada del crimine? Alcuni suoi amici sono finiti sulla sedia elettrica.)

John Berger, nel suo famoso About Looking, include Fasanella come esempio artistico di reazione alla disumanizzazione della città. Berger nota che, nelle sue tele sovraffollate, la città appare come un’enorme nave di emigranti: ogni appartamento una cuccetta, ogni finestra un oblò sull’isolamento. Nota inoltre come Fasanella usi gli squarci e le finestre come punti di vista privilegiati e impossibili che raccontano le storie dietro tale isolamento. È come se il pittore aprisse a forza le porte della storia e vi facesse entrare i piccoli e i marginalizzati. Ma soprattutto, afferma Berger, Fasanella vuole far ricordare, in una città che insegna a dimenticare. New York esige che gli emigranti si dimentichino chi sono stati, li forza allo sfruttamento e poi a lasciare il passo e la stanza ai nuovi arrivati. In questa città niente resta. Neanche il lavoro del distributore del ghiaccio. “Lest we forget” (per non dimenticare) è iscritto sul soffitto di Family Supper.

Il successo arride a Fasanella prima della sua morte nel 1997, anche se egli stesso, che aveva dipinto quadri ad uso pubblico, pensando di appenderli nelle sale di riunione dei circoli operai e dei sindacati, vede questi luoghi scomparire. Chiudono le associazioni politiche, ma i suoi quadri – dice lui – non sono da rinchiudere in un museo o nel salotto di qualche riccone. I suoi lavori sono stati riuniti in una retrospettiva dell’American Folk Art Museum nel 2014. Il museo non è però il luogo di quest’arte che appartiene agli emigranti, ai lavoratori e alla città. Per questo è significativo che il suo Family Supper sia ospitato proprio a Ellis Island e che il suo Subway Riders (passeggeri in metropolitana) sia permanentemente incastonato nel mezzanino della stazione della metro fra la Quinta e la 53esima strada.

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