Reportage, Storie

Passeggiata sensuale nella New Orleans italiana

di ILARIA SERRA

C’è un’anima italiana a New Orleans che palpita ancora sotto il gusto francese dei tipici balconi in ferro battuto. Siciliana, per la precisione: agli inizi del secolo scorso il centro storico della città era una Little Italy, anzi una Little Palermo. Un numeroso gruppo di emigranti siciliani si era radunato qui, attratto alla fine del 1800 dagli impieghi degli ex-schiavi nelle piantagioni, ma anche dalla fiorente industria della pesca e del commercio alimentare, soprattutto di agrumi. Oggi la loro storia è diluita nel gran melting pot della città che mescola gusti ispanici, francesi e afroamericani, ma resta riconoscibilissima e colpisce i cinque sensi con inaspettate impressioni.

L’olfatto. Direi che l’odore dinuovo e di fresco restauro si percepisce nell’American Italian Museum, un gioiello che simboleggia una nuova fase della storia degli italoamericani di New Orleans. Ospitato in un ex-magazzino di caffè in South Charles Street, all’interno dell’American Italian Cultural Center, e aperto di recente, ha un profumo neutro che cancella le differenze culturali e le acquieta nel silenzio delle stanze e delle esposizioni di ottima qualità. La storia italiana della città non è più bollente e odorosa come un tempo, ma è stata sanitarizzata e sistemata in un bel museo, rendendola fruibile. Il museo è l’ultima diramazione del Centro culturale fondato da Joseph Maselli nel 1982 per sostenere le attività culturali italoamericane: dalle bocce alle feste, dalle lezioni di italiano ai viaggi organizzati. Joseph era un italoamericano che, oltre a far fortuna aprendo la City Wholesale Liquor Company, fece molto per la sua comunità, tanto da meritare il titolo di Grand Ufficiale dell’Ordine della Stella d’Italia.

Nella foto con Emanuele Pettener e Ilaria Serra nella Piazza d’Italia

Frank Maselli continua l’eredità del padre, Joseph.

Il museo, diretto oggi dal figlio Frank, nasce proprio prima della pandemia ed esibisce con gusto l’esperienza degli italiani a New Orleans, partendo dal carretto ambulante di caramelle chiamate Roman Candy, gestito da Sam Cortese dal 1915 (foto qui sotto), fino alle scuole aperte da madre Francesca Cabrini, la prima santa americana. Ancora oggi una scuola superiore di New Orleans è a lei intitolata, la Cabrini High School. Il museo ricorda le aziende italiane (gli alimentari Progresso, l’hotel Monteleone che ancora svetta nel panorama della città, il Rouses Market che ancora apre le porte nel centro storico) e le società di mutuo soccorso con il gonfalone dipinto e ricamato dedicato a Contessa Entellina (paese siciliano da cui provenivano molti emigranti).

La Roman Candy di Sam Cortese

Nel museo, un’importante esibizione narra la storia di Merrill Ferrara, soldato coinvolto in diverse battaglie della seconda guerra mondiale che raccontò in alcuni diari manoscritti. Quando Merrill tornò a casa, si rimise al lavoro nel panificio di famiglia. Il panificio Ferrara chiuse nel 2005 distrutto dall’uragano Katrina dopo 99 anni di attività. Un’altra sezione documenta la presenza italiana nelle parate del Mardi Gras. Questo grande evento cittadino inizialmente non permetteva agli italiani (e agli ebrei) di partecipare. Essi risposero al pregiudizio fondando il loro gruppo autonomo e poter così prendere parte alla festa, il Krewe of the Virgilians (Krewe sono le associazioni organizzatrici del carnevale). Il contributo italiano piacque così tanto che nel 1939, l’italiana Margherita Piazza fu eletta regina del carnevale impersonando nientemeno che Francesca da Rimini, con un vestito di 10 metri color di fiamma. Il museo ha anche una propria Hall of Fame per gli sportivi italoamericani e ogni anno vengono proclamati tre nuovi atleti (nella foto sopra).

La Hall of Fame degli atleti italoamericani di New Orleans

Il museo non censura neppure la pagina più buia della storia italiana in Louisiana: i rapimenti della Mano Nera, gli scandali dei linciaggi compiuti ai danni degli italiani a Tallullah, incluso il grande linciaggio di 11 italiani accusati di aver ucciso il capo della polizia Hennessy. Per quel crimine, perpetrato da una folla inferocita contro gli italiani in galera in attesa di giudizio, non furono mai individuati colpevoli. La foto qui sotto mostra un’ingrandimento di una riproduzione del tempo dai giornali locali. Le due persone che aizzano la folla sotto la statua sono riconoscibili. Maselli li indica e spiega: “Vedi le persone di questa foto: erano gli aizzatori della folla che uccise gli 11 italiani. I loro discendenti oggi sono nostri collaboratori ed erano presenti alla proclamazione del 2019”. Si è atteso infatti il 2019 per ottenere la proclamazione, firmata dalla sindaca Latoya Cattrell e qui incorniciata, che esprime le più sentite scuse della città di New Orleans per quel crimine causato da discriminazione razziale (nella foto sopra).

La folla inferocita contro i sospetti assassini del capo della polizia
La proclamazione con le scuse ufficiali di New Orleans agli italoamericani

La vista. Un forte colpo d’occhio è offerto dalla Piazza d’Italia che si apre tra Lafayette e Commerce Street. Questa commistione di grandiosità all’italiana include una fontana a forma di stivale (foto) e una corona postmoderna di facciate di reminiscenze pompeiane, romane e vagamente fasciste (nelle foto sotto)

La fontana

La piazza risale al 1978. L’allora sindaco Moon Landrieu decise di onorare le varie culture della città dedicando ad ognuna una statua. Gli italiani proposero invece una piazza! Costò 10 milioni di dollari. C’era anche un piccolo campanile, ora distrutto, che verrà probabilmente sostituito con un’enorme forchetta, strumento forse inventato da Caterina de’ Medici. La piazza, un “living monument” secondo Frank Maselli, venne usata per tutti gli anni ‘80 per le “Feste italiane” e ancora oggi per l’opera all’aperto. Questi sono i bei manifesti firmati da Franco Alessandrini per feste di quegli anni. Ognuno glorifica un aspetto culturale associato con l’Italia: la Venezia romantica, il Carnevale, l’opera, un amore medievale o i prodotti del Made in Italy (nelle foto sotto)

Il gusto. Tra i forti sapori di New Orleans, dominati dalla pesante cucina del Sud (bisquits e gravy e tanto fritto) e dalla piccante cucina cajun (il gumbo e la jambalaya), si fa strada anche una specialità italiana: il panino muffaletta (o muffuletta). La muffaletta è una vera esagerazione culinaria: una pagnotta farcita di salame, prosciutto, mortadella, provolone e mozzarella (tutto insieme) con l’aggiunta di una salsa piccante alle olive. La pagnotta si divide in spicchi come un club sandwich. Sembra che sia stata inventata al Central Grocery, storico negozio italiano aperto nel 1906 da Salvatore Lupo nella Decatur Street (immortalato anche nel museo). Ora che il negozio è sotto restauro, non perde business perché la muffaletta viene venduta dal negozio vicino. Nella foto si vede il cartello che devia i clienti al negozio accanto. La seconda foto mostra la pubblicità condivisa della muffaletta e del po’ boy (slang per “poor boy”), la versione confederata del sandwich: segno visibile del melting pot culinario di New Orleans.

L’udito. Alle radici del jazz, anima musicale di New Orleans, ci sono anche gli italiani. I siciliani che crescono qui assimilano i ritmi neri che si spandono sulle strade e dalle chiese. La famiglia Prima si forma sotto la guida della mamma Angelina Caravella, emigrata da Ustica, donna socievole e ottima cuoca, che impone uno strumento musicale ad ognuno dei suoi figli. Quando i fratelli Louis e Leon Prima debuttano con l’orchestra di Sam Butera, conquistano le scene con il loro jazz allegro illuminato da un gran sorriso siciliano. Louis Prima canta i suoi personaggi di Angelina, Maria e Baciagaloop con voce roca accompagnandosi con una danza agilmente goffa (che ispira quella del King Louis, il personaggio del Il libro della giungla di Disney creato a sua immagine). Il Museo del Jazz che si trova nella vecchia Zecca di New Orleans, dedica ben tre sale al fenomeno Louis Prima e, a sua volta, il museo italoamericano elenca 250 nomi di jazzisti italoamericani di New Orleans (“ma ce ne sarebbero un migliaio,” commenta il direttore Maselli).

I genitori di Louis Prima nel 1939

La foto mostra mamma Angelina e papà Anthony Prima. Nato a New Orleans, Anthony era un impiegato in una fabbrica di bottiglie, di buona stazza: viene descritto come “un babbo natale grosso e silenzioso” nei ricordi della famiglia registrati nel documentario al museo. Il figlio Leon assomigliava a lui. L’esuberanza di Louis invece veniva tutta da Angelina, che era caciarosa e allegra e riempiva la casa di ospiti ogni domenica. Il poster qui sotto invece è firmato da un artista soprendente: il cantante Anthony (Tony) Bennett che crebbe sotto l’ombra di Louis Prima nella New York degli anni ‘50.

Louis Prima dipinto da Tony Bennett nel 2010

Il tatto. È italiana l’unica scultura ad avere l’onore di venire collocata davanti la chiesa di San Luigi (il santo re di Francia) nel cuore della città vecchia. La statua a grandezza naturale di Giovanni Paolo II è stata scolpita da Franco Alessandrini, scultore che si divide fra New Orleans e Pietrasanta, capitale del marmo. La statua è stata benedetta nel 2017 da Papa Francesco a Roma ed è un regalo dell’American Italian Cultural Center. I nomi dei benefattori sono scolpiti sul pavimento e sono le stesse influenti personalità che hanno lavorato per la costruzione del museo e della Piazza d’Italia: Maselli, Canizaro, Capomazza, Lupo…

La statua di Giovanni Paolo II davanti alla cattedrale di Saint Louis

Alessandrini è anche l’autore di altre quattro statue dedicate alle stagioni, negli angoli del parco di fronte alla chiesa (l’autunno, nella foto), intorno alla statua del generale e presidente Andrew Jackson che se ne sta ritto sul cavallo imbizzarrito, noncurante dei commenti critici di qualche passante (era il presidente che firmò l’ordine di cacciare i nativi dalle loro terre dell’Ovest, causando il “sentiero delle lacrime”). Alessandrini ha preso il posto di un altro scultore italiano molto influente all’inizio del secolo: Teodoro Francesco Bottinelli (1886-1933) che lavorò su alcuni importanti edifici di New Orleans, tra cui l’ufficio postale e il Whitney building, ed è ora sepolto nel cimitero monumentale della città, il Metairie, sotto un autoritratto scolpito da lui stesso.

L’autunno di Franco Alessandrini

Potrebbe piacerti...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *