Libri, Storie

L’avventura americana di Vincent Massari, il “Leone italiano”partito dall’Abruzzo

di VALENTINA DI CESARE

Negli occhi di Vincenzo l’inquietudine è svanita, ha lasciato il posto a una tenera impazienza per il futuro che lo aspetta. Non può immaginare che quella partenza gli ha salvato la vita.

Quando Vincenzo Massari si imbarca sulla nave “Taormina”, è il 6 gennaio 1915. Il giovane diciassettenne lascia l’Italia in compagnia della madre Angela, partendo dal porto di Napoli. Quel giorno non sa ancora che, una volta giunto nel nuovo mondo, inizierà per lui una vita fino ad allora inaspettata. Il 13 gennaio del 1915, mentre il piroscafo prosegue indisturbato il suo viaggio alle volte dell’America , un violento terremoto colpisce la Marsica, territorio dell’entroterra abruzzese al confine occidentale con il Lazio. Il suo paese d’origine, Luco dei Marsi, è devastato. Soltanto arrivato a Ellis Island verrà a sapere dell’immane disgrazia che ha distrutto la sua terra, terra che per anni si è sempre rifiutato di abbandonare, senza dare ascolto al volere dei suoi familiari, già stabilitisi in America da tempo. Suo padre Domenico fa il minatore, e come tanti emigrati italiani sogna un giorno di racimolare denaro abbastanza per tornare in Italia e trascorrervi la vecchiaia. Abituato da sempre a faticare per sopravvivere, Domenico è un uomo coraggioso che non si è mai piegato ai soprusi delle compagnie minerarie , e che ha partecipato attivamente a scioperi e attività sindacali per difendere i propri diritti, tant’è che la sua reputazione tra i datori di lavoro non è affatto raccomandabile. Sono questi gli Stati Uniti in cui la famiglia Massari vive, sono quelli in cui Vincenzo arriva il 20 gennaio 1915, dopo tanto tergiversare: non c’è più scampo ormai. Vincenzo – Vincent sarà un minatore come suo padre, lavorerà nella miniera di Cedar Hill e la sua paga, come quella di tutti gli altri, dipenderà esclusivamente dalla quantità di carbone estratta ogni giorno. Ma il piccone e la pala saranno le sue “armi” soltanto per un tempo ristretto: è con la penna e con la voce che Vincent sceglierà di combattere e di difendere a vita la causa dei minatori, iniziando a collaborare con la rivista “Il risveglio” , giornale di riferimento per i minatori italiani negli Usa, e proseguendo con una lunga carriera editoriale, sindacale e politica fino alla fine dei suoi giorni. Dal 4 marzo scorso in libreria, la straordinaria parabola esistenziale di Vincent Massari è nero su bianco, e leggerla sarà appassionante: “Vincent Massari, cronache di un abruzzese d’America” edito da Radici Edizioni per la collana “Vite”, è il libro con cui l’ottimo Alessio De Stefano ha scelto di raccontare ai lettori la vita di un uomo instancabile, tenace e sensibile che ha fatto della lotta ai soprusi la sua ragione di vita.

Ho domandato a Gianluca Salustri di Radici Edizioni per quale motivo un lettore contemporaneo dovrebbe aver voglia di leggere questa storia e le sue parole di risposta sono state queste:

Quando Alessio mi ha proposto il libro non ho esitato un attimo a dire di sì. Del resto come non poteva far gola a un editore che si occupa di “radici” la storia di un emigrante di inizio Novecento scampato a uno dei terremoti più distruttivi d’Italia e diventato così importante in un altro Paese? Ora che il libro è nelle nostre mani, però, sono ancora più orgoglioso di averlo accolto in catalogo, perché quello che ti ho appena raccontato si può considerare “solo” l’incipit di una storia ben più lunga e articolata, che mette insieme antifascismo d’Oltreoceano e condizioni dei lavoratori italiani delle miniere, storia dell’uomo Massari e vicende dell’immensa comunità degli italiani d’America, un accurato lavoro sulle fonti e la scrittura di un autore che seppur alla sua opera prima ha già le idee molto chiare su come coinvolgere chi legge le sue pagine. Non so se tutto ciò possa bastare a un lettore contemporaneo, ma sono convinto che questo libro riuscirà a emozionare e allo stesso tempo a colmare un vuoto nella narrazione del nostro territorio, aggiungendo documenti fondamentali sul tavolo di chi da sempre si occupa della storia della nostra emigrazione.

Recatosi in Colorado, a Pueblo, città della contea omonima, nella cui università è custodito il “fondo Massari”, De Stefano ha ricucito i fili più importanti della vita del giornalista, consegnando ai lettori un ritratto coinvolgente, ricco di aneddoti e testimonianze. Senza questa importante ricerca, con ogni probabilità, pochi abitanti di Luco dei Marsi, paese di origine di Massari, avrebbero potuto conoscere la sua vita e il suo impegno sociale. Ne ho parlato direttamente con l’autore:

Non so darti un riscontro esatto sul numero di persone che conoscono la figura di Massari, certamente ce ne sono, anche se a Luco dei Marsi è rimasto così pochi anni. Nella mia ricerca ho lavorato sulle fonti d’archivio, attingendo poi dai ricordi dei suoi familiari più stretti che risiedono negli Stati Uniti. Di lui ho trovato traccia in alcuni libri in cui è stato approfondito il tema delle Società Operaie di Mutuo Soccorso, in particolare ad Avezzano, quindi la sua figura era sicuramente conosciuta, sia per l’attività nella Federazione Colombiana, che in generale nei giornali e all’interno dei sindacati. Quello che mancava era un racconto che unisse cronologicamente la sua vita, ricostruendo in particolare il momento precedente alla partenza per l’America. La reazione sarà tutta da scoprire, mi auguro comunque sia di grande orgoglio! Sono sicuro che il racconto crescerà proprio grazie a questa pubblicazione, risvegliando, chissà, memorie e ricordi dei suoi compaesani che ne hanno sentito parlare. D’altronde Massari nei suoi ritagli di giornale ha sempre conservato le notizie relative a Luco dei Marsi, il suo legame è rimasto forte. Proveremo a dargli nuova linfa.

Giornalista ed editore, Vincent Massari dedica la sua vita a ferventi attività sindacali che lo portano a essere la voce dei minatori sfruttati per poi divenire un rappresentante della Camera del Colorado e alla fine Senatore. Giunto in America ancora ragazzo, nel pieno disorientamento dell’epoca e dell’età , Vincent Massari diventa un punto di riferimento per centinaia di emigranti: uomo colto, caparbio, attivo, intraprendente, è impossibile non notarne il valore, l’energia speciale, il trasporto; se ne accorgono gli editori che lo assumono, i minatori che si rivolgono a lui , persino i curiosi che lo ascoltano. Il suo percorso di crescita inizia da collaborazioni con alcuni organi di stampa specializzati e pian piano si tramuta in un impegno sempre maggiore: Massari fonda una sua rivista “Marsica Nuova”, dando vita a un giornale che non si limita a segnalare notizie ma diventa un punto di riferimento per i tanti emigrati provenienti da questi territori. Non manca di incontrare e mantenersi in contatto con alcune delle figure politiche e culturali più importanti dell’universo migratorio italiano in America, primo tra tutti il sulmonese Carlo Tresca e non abbandona neanche per un momento lo sguardo attento nei confronti della propria terra d’origine: a tal proposito è proprio in uno dei giornali diretti da Massari che trova spazio una delle pubblicazioni estere di “Fontamara” , opera indimenticata del celebre Ignazio Silone. Infine la carriera politica che lo porta, tra le altre cose, a contribuire alla fondazione dell’Università di Pueblo, nel “suo” Colorado.

Un libro insomma, questo di De Stefano, che non si limita a raccontare le tracce di una vita, seppur straordinaria, ma che vuole andare oltre il semplice dato biografico, nel tentativo di far luce sull’ampiezza, la complessità e la ricchezza dell’esperienza migratoria italiana negli Stati Uniti, esodo caratterizzato da ondate più o meno intense e forse, per certi versi, mai completamente arrestatosi. Eppure, nonostante si tratti di un fenomeno così vasto, profondo ed eterogeneo, il più delle volte, quando in Italia si accenna alla storia della nostra diaspora le reazioni sono sempre controverse. Si tende a minimizzare, a raccontare l’emigrazione e gli emigrati a suon di stereotipi ( specie quella negli Stati Uniti) o semplicemente si sfocia in un vago sentimentalismo folkloristico. De Stefano a tal proposito mi ha lasciato un suo parere:

Per quanto riguarda i motivi che hanno portato a una narrazione stereotipata del massiccio fenomeno migratorio degli Italiani negli Stati Uniti, la risposta penso sia molto complessa e sfaccettata. Sarebbe interessante approfondire qual è stata l’evoluzione dell’immaginario relativo agli emigrati italiani nel corso di un secolo, sia dalla prospettiva degli americani che li vedevano arrivare in massa, sia da quella degli italiani che li vedevano partire e tornare dopo diversi anni. C’è il saggio di Amy Bernardy dove si parla (in tono sicuramente critico e a volte fazioso) di alcuni emigrati italiani che tornano dopo anni con questa lingua nuova, dove si sono mescolati i dialetti con le parole anglofone. Sono come degli alieni (si parla dei primi anni dieci del novecento), con un’attitudine sprezzante verso il mondo che si sono lasciati alle spalle: “…e la presunzione dei piccoli, che tornan verniciati d’americanesimo e vi dichiarano in inglese : “May be Rome is a decent place, but I don’t care for this here little town „ (dicono, e può essere che, Roma sia un paese a modo, ma questo paesuccio qui proprio non mi va)…”  Se ci riflettiamo, la diaspora ha effettivamente creato delle nuove comunità sociali, in parte ancora legate alle proprie origini, ma allo stesso tempo diverse. L’argomento è vasto e interessante, dovrei studiarlo meglio per saperti dare una risposta più accurata. Come opinione personale direi, semplicemente, che nel momento in cui due gruppi sociali entrano a contatto, sono portati a generare una serie di “immagini fisse” per poter leggere e riconoscere l’altro. E questo lo vediamo sia nella rappresentazione degli americani, sia in quella degli italiani che hanno visto crescere e cambiare i propri compaesani all’estero. 

Stereotipi, categorie e porte sbarrate in fondo sono sempre state all’ordine del giorno di fronte a ogni tipo di esodo e nella contemporaneità non accade da meno. Eppure, per dirla con Bauman “Le porte possono anche essere sbarrate, ma il problema non si risolverà, per quanto massicci possano essere i lucchetti. Lucchetti e catenacci non possono certo domare o indebolire le forze che causano l’emigrazione; possono contribuire a occultare i problemi alla vista e alla mente, ma non a farli scomparire“.

Si potrebbe riempire l’oceano con tutte le domande e i dubbi delle persone che lo hanno attraversato.

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