di MICHELE CRESCENZO
Lawrence Ferlinghetti era alto, timido con gli occhi azzurri, la barba grigia e calvo. Delle volte girava con le giacche Nehru o sui tatami negli anni ’60 e ’70. È stato un poeta, artista, attivista e fondatore della libreria City Lights di San Francisco fondata nei primi anni ’50 che è ancora tra i negozi più accoglienti della città, con i suoi tavoli e sedie, fasci di riviste e cartelli che sussurrano: “Prendi un libro, siediti, e leggi”.
Il padre era di origini italiane ( nato a Brescia alle ore 16 di giovedì 14 marzo 1872) e arrivò a New York nel 1890, L’uomo aveva un rapporto conflittuale con la sua madre terra: aveva infatti abbreviato il suo cognome in “Ferling” (un termine molto più fluente in francese e inglese) e lasciato il quartiere italiano di Brooklyn dove lavorava come banditore d’asta, trasferendo moglie e figli a Yonkers, cercando di nascondere la sua italianità per avere più lavoro. Lawrence non lo conobbe mai perché l’uomo morì prima della sua nascita. Trascorse i primi vent’anni della sua vita con la zia e con una famiglia adottante tra gli Usa e la Francia. Il rapporto Lawrence Ferlinghetti con l’Italia è stato principalmente di riscoperta, infatti soltanto all’età di 36 anni, per sua scelta e atto, Lawrence Ferling divenne Lawrence Ferlinghetti. Il momento, per altro, non è affatto casuale perché coincide con la prima pubblicazione delle sue poesie per la casa editrice City Lights che aveva appena fondato.
Negli anni 50 Ferlinghetti aprì la libreria indipendente “City Lights” con Peter D. Martin (figlio dell’anarchico italiano Carlo Tresca) che diventò un centro intellettuale indipendente aperto sette giorni su sette fino a mezzanotte con letture di poesie accompagnate da musica jazz.
Nell’agosto del 1955, la City Lights divenne anche casa editrice e pubblicò Pictures of the Gone World di Ferlinghetti. Il nuovo nome italiano Ferlinghetti non fu affatto una scelta commerciale perché, tranne per Di Maggio o Sinatra, l’italianità era legata a modelli mafiosi e negativi.
Sempre nel 1955, Ferlinghetti pubblicò Howl di Allen Ginsberg con una prefazione di William Carlos Williams. A causa di questo fu arrestato e processato per oscenità, ma il suo rilascio fu un successo pubblicitario che fece conoscere il movimento Beat e la casa editrice.
Ferlinghetti, Ginsberg e il movimento Beat in generale guadagnarono una reputazione all’estero. Le poesie di Ferlinghetti in traduzione apparivano in Italia come anche in Argentina, Cina, Cecoslovacchia, Danimarca, Francia, Germania, Ungheria, Giappone, Messico e in inglese in Australia e Inghilterra. A Fernanda Pivano va in particolare il merito di aver fatto conoscere la sua opera in Italia.
Quando, nel 1961 Pivano incontrò Ferlinghetti nella sua libreria, lo descrisse così: un cumulo caotico di carte, lettere, buste, giornali, fogli ciclostilati, annunci di readings e di marce.
( Fernanda Pivano, Beat Hippie Yippie; Il romanzo del pre-sessantotto americano Milano: Bompiani, 1977).
Parlò di “Larry” come “cool e sorridente”. Nel suo saggio Beat Hippie Yippie Fernanda Pivano racconta anche una visita a casa sua, e un incontro anni dopo a Parigi quando “Larry” lesse in una delle manifestazioni del Festival per la Libertà e la Cultura: “Alla fine della lettura una severa giornalista svizzera lo intervistò e non ho più dimenticato i suoi occhi mentre cercava di indovinare che cosa ci fosse di vero in quello che Larry le diceva sorridendo.”
Grazie alle traduzioni della Pivano, Ferlinghetti riceveva sempre più attenzione e nel 1968 la regione Sicilia gli conferì il Premio Taormina (o più precisamente il Premio Internazionale di Poesia Etna-Taormina), assegnato ogni tre anni a uno o più poeti di diversi paesi. (In precedenza era stato assegnato a Dylan Thomas.) Ferlinghetti andò a Taormina e il premio fu l’occasione per prolungare il suo viaggio: rimase via per oltre due mesi. Quel dicembre, come nota Silesky (163), viaggiò per l’Italia. Pivano dice a proposito del suo lavoro che a quel punto si era allontanato dalle precedenti influenze del surrealismo francese e dagli echi di E. E. cummings, di Eliot e di Pound, in favore di una dizione più colloquiale, e di una testimonianza diretta delle strade.
Senza descrivere nel dettaglio tutti i viaggi italiani di Ferlinghetti, si può citare un viaggio a Roma e Spoleto nel 1979 in compagnia di Paula Lillevand, la donna con cui visse dopo il divorzio e con la quale è rimasto fino al 1980. Ci fu un viaggio a Roma nel 1983 per il IV Festival Internazionale di Poesia, e ancora l’anno successivo per il V Festival Internazionale di Poesia. Negli anni ’80, come nota Silesky (220), “i festival italiani lo hanno portato a Milano, in Toscana, a Roma”. Nel luglio 1986, Ferlinghetti partecipò al Congresso Mondiale dei Poeti a Firenze, leggendo con Gregory Corso, e poi attraversò in treno l’Italia.
Da questi viaggi sono nate quaranta poesie, uscita da Nuove Direzioni nel 1981. La raccolta si apre con “Canti romani”, una poesia in undici parti, in cui volando dall’aeroporto Kennedy a Fiumicino il poeta arriva per sentire come “L’orologio di Piazza del Popolo fa il suo bussare / alle porte del tempo”. Nella seconda parte, le campane della chiesa sollevano la polvere e scuotono le torri con i loro rintocchi. Nella terza parte, davanti al caffè mattutino, il poeta immagina “Dante che impara la lingua / al ginocchio di sua madre”. Nella quinta parte, i bambini lungo la via Appia giocano alla guerra; suonano come le rondini che vide Dante; dopo che svaniscono al crepuscolo, rimangono i grandi pini e la strada sembra risuonare di legioni in marcia “in nuove strane uniformi / nessuno ha mai visto prima”. Successivamente, uno scorcio del Vaticano, seguito dalla spiaggia di Ostia; poi famiglie sulla sabbia nera e pescatori in mare a Castelporziano. Il sole “apre la sua fornace”. Più tardi, ombrelli piegati e capanne abbandonate fanno “un riflusso rosso”. La sezione finale che segue la descrizione del paesaggio confuso nel tempo, Dante modificato da Blake, gioca con i famosi versi di apertura:
A metà del viaggio della mia vita
è venuto su me stesso
in un bosco scuro
corpo bianco mente oscura
sul terreno in ombra
E ho visto me stesso svegliarmi lì
come in uno specchio fatto d’aria
e ho visto come auto ancora provato
per salire da lì
e vola come lo spirito dovrebbe
e volare come lo spirito potrebbe
attraverso il bosco scuro.
Nei “Canti toscani” le città di Volterra e Piccioli entrano nella poesia americana. In “Fables of the cosiddetti Birds” fantastica il paesaggio da Roma attraverso l’Umbria: Assisi, Castiglione del Lago, Siena, San Gimignano e ritorno via Roma negli Stati Uniti. L’utopia non è geografica, in questa poesia; piuttosto, il suo sito è “in un giardino chiamato Amore / in un quartiere non più mostrato sulle mappe / e non più rappresentato / nella legislatura nazionale”.
Con Francesca Valente, Ferlinghetti ha anche tradotto dall’italiano le poesie romane di Pier Paolo Pasolini e nel 1986 ha pubblicato il libro con la prefazione di Alberto Moravia. Per tanti anni l’ Italia è vissuta a San Francisco, precisamente al 261 di Columbus Avenue, all’incrocio dove, dal 1953, sorge City Lights, il laboratorio culturale di Lawrence Ferlinghetti, l’uomo nato con un cognome italiano mutilato che nel suo recupero ha riscoperto le sue radici.
(In copertina: illustrazione di Massimo Carulli)
Biobiografia
https://www.theguardian.com/books/2021/feb/23/lawrence-ferlinghetti-obituary
http://academic.brooklyn.cuny.edu/modlang/carasi/via/ViaVol3_1Kirschenbaum.htm#_ftn13